Gennaio 2002
6 Gennaio 2002 (Giuliano Ferrara, L'espresso)
«Anche noi abbiamo avuto il nostro 11 settembre, tanti anni fa, si chiama caso Moro. I più giovani, fino ai 35 anni, non possono direttamente ricordare. Non fu l'omicidio di un uomo di Stato, Aldo Moro, il massimo leader del partito di governo che aveva fatto la Repubblica così com'era. Fu di più. Fu il sequestro dello Stato per 55 giorni, fu il terrorismo che giocava al gatto con il topo, e il topo eravamo noi, la Nazione italiana, la società civile, la gente comune, la famiglia e gli amici del politico prigioniero, la Chiesa cattolica e il suo capo Paolo VI, la classe dirigente. Il senso di insicurezza si combinò per lunghi mesi, durante quel bagno di sangue che fu la campagna della primavera '78 delle Brigate rosse, con una tragica decomposizione del nostro apparato pubblico, in uno spirito di divisione che le bandiere unite in piazza, rosse e bianche, del «compromesso storico» e del governo di «unità nazionale», nonché la linea della fermezza contro ogni possibile trattativa e riconoscimento dei gruppi terroristici, non riuscirono ad arginare. E poi ci siamo trascinati per anni, fino alla fine della Prima repubblica, una maledetta incapacità di unione, di riforma, di concentrazione politica sulle cose che contavano. L'eroismo di Moro fu privato, intimo familiare, e uno dei più rilevanti leader della vita pubblica benedisse i suoi cari nel momento della morte e impartì una tremenda maledizione sul suo Paese: «Il mio sangue ricadrà su di voi». Certo, quello fu un attacco interno, e il nostro terrorismo nacque e divampò nella giungla delle nostre anomalie, al tempo del comunismo, dell'anticomunismo e della guerra fredda. Tutto era diverso...»
31 Gennaio 2002
Lo scorso lunedì è morto a Roma il prefetto Umberto Improta. Direttore del servizio antiterrorismo della polizia di prevenzione nell'87, questore di Milano nell'88 e di Roma nell'89, prefetto di Napoli nel '91 e infine ispettore generale di amministrazione nel '96, Improta ha passato tutta la sua vita al servizio dello Stato, ricoprendo incarichi di prestigio e di grande responsabilità. «Nella sua lunga carriera - ha detto Carlo Azeglio Ciampi - ha dato prova di grande capacità nella lotta alla criminalità e al terrorismo: il suo forte e appassionato impegno ha accresciuto la sicurezza dei cittadini». Questo, riga più riga meno, è quello che abbiamo letto sui giornali. Qualche messaggio di cordoglio alla famiglia. Un po' di date e di qualifiche. Stringati cenni biografici. Ma Improta non era un semplice ed oscuro funzionario. Tutt'altro. Durante gli anni passati all'Ucigos e nelle questure di Roma e Milano, Improta si dedicò alla lotta al terrorismo e all'analisi dei fenomeni eversivi. Fornendo preziosi contributi alle indagini sul «partito armato». Primo fra tutti quello sui collegamenti internazionali delle Brigate rosse, di cui Improta si era occupato fin dal 1981 quando condusse le operazioni sul sequestro Dozier ed individuò lo zampino dei servizi bulgari. La storia recente del prefetto resta legata ad un appunto inviato il 5 dicembre del 1990 al capo della Polizia. Nel dossier, spuntato fuori dagli archivi della commissione Stragi nell'inverno del 1999, Improta dimostra, verbali e documenti alla mano, i numerosi contatti tra le Br e i servizi segreti dell'Est. Tra questi, c'è quello esplosivo dell'agente Dario, al secolo Giorgio Conforto, con i due «postini» del sequestro Moro, Adriana Faranda e Valerio Morucci. Conforto, uomo di punta del Kgb in Italia negli anni della guerra fredda, era il papà di Giuliana, vicina all'Autonomia operaia di Franco Piperno e Lanfranco Pace, che nel giugno del 1979 ospitò nella sua casa di via Giulio Cesare a Roma i due brigatisti in fuga. Nell'abitazione fu trovato un vero e proprio arsenale, compresa la mitraglietta Skorpion con cui era stato ucciso Aldo Moro. Ma l'identità di Giorgio Conforto, benché conosciuta dai nostri servizi e comunicata «verbalmente» al capo del tribunale di Roma, non entrò mai nelle indagini dei giudici romani Imposimato e Priore. Risultato: lui e sua figlia se la cavarono senza neanche un'accusa di favoreggiamento. L'appunto di Improta, rimasto senza seguito per oltre nove anni, è oggi considerato una delle principali testimonianze sull'autenticità del dossier Mitrokhin (che dedica diverse pagine all'agente Dario) e sull'attività di infiltrazione del Kgb nel mondo dell'eversione rossa. Tutto sommato, il fatto che nessuno abbia ricordato il lavoro del prefetto sulle relazioni «pericolose» tra l'ex Unione sovietica e la più feroce banda armata degli anni di piombo non stupisce più di tanto.