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Roberto bartali.it

Settembre 2001

5 Settembre 2001:

«Fu Maccari a uccidere Aldo Moro» Lanfranco Pace: me lo ha rivelato lui, Moretti era in preda a una crisi di panico e Gallinari piangeva Nel garage, davanti al presidente della Dc Aldo Moro rannicchiato nel bagagliaio della Renault rossa, Mario Moretti, capo delle Brigate Rosse, era in preda a una crisi di panico. Gli tremavano le mani. Provò lo stesso a sparare ma la pistola si inceppò. Moretti rivolse uno sguardo in cerca di aiuto verso Prospero Gallinari. Ma Gallinari singhiozzava. Germano Maccari scansò sia Moretti sia Gallinari e si fece avanti con la mitraglietta Skorpion. Sono gli ultimi cinque secondi della vita di Aldo Moro. Li rivela, come in una tragica scena di un film di azione, Lanfranco Pace in una intervista che uscirà domani su Sette: «Me lo raccontò Maccari stesso prima del suo processo. Era indeciso se dire ai giudici la verità. Poi non lo fece. Ora che è morto mi sento libero di farlo io», dice Pace. Sembra cadere così anche uno degli ultimi misteri sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro. Non sarebbe stato dunque Mario Moretti a porre termine alla sua vita ma Germano Maccari, una figura che finora era rimasta piuttosto nell'ombra. Germano Maccari è morto dieci giorni fa in carcere. Per questo Lanfranco Pace, figura di spicco di Potere Operaio e di Autonomia Operaia, insieme a Franco Piperno e Oreste Scalzone, si sente libero di restituire l'ultimo spicchio di verità alla ricostruzione storica degli anni di piombo e racconta. Germano Maccari era il famoso «quarto uomo», che insieme a Mario Moretti, Prospero Gallinari e ad Anna Laura Braghetti, aveva tenuto prigioniero Moro per 55 giorni nel covo di via Montalcini. Nelle Brigate Rosse era arrivato solo da pochi mesi, reclutato da Valerio Morucci che lo aveva presentato a Moretti. La sua freddezza e la sua preparazione militare avevano colpito i brigatisti. Che però lo usarono solamente per il sequestro Moro. Con il falso nome di «ingegner Altobelli» fu Maccari ad allestire e insonorizzare il «carcere del popolo» dove fu tenuto prigioniero il presidente della Democrazia cristiana. «Maccari era contrario a uccidere Moro», ha raccontato Lanfranco Pace a Sette ricordando le parole che gli disse il suo amico qualche giorno prima del processo. «Considerava quell'omicidio una ignominia assoluta. Però prese su di sé il peso di quella decisione tremenda, perché si riteneva un soldato. Dopo 48 ore abbandonò le Brigate Rosse. Io lo incontrai all'università la settimana successiva. Era irriconoscibile. Gli erano diventati tutti i capelli bianchi». «Io ero girato e guardavo la porta del box. Sentii due detonazioni. Moretti mi chiese agitato la mia mitraglietta, mi girai di nuovo e sentii una o due raffiche. Dopo di che chiuse il bagagliaio». E' questa l'ultima verità di Germano Maccari sulla fine di Aldo Moro, consegnata ai giudici della corte d'Assise di Roma il 19 giugno 1996. Fino ad allora, per oltre tre anni, il «quarto uomo» di via Montalcini aveva negato pure di essere uno dei carcerieri del presidente dc rapito dalle Br. Poi invece ammise di aver custodito l'ostaggio nella «prigione del popolo» dal 16 marzo fino alla mattina del 9 maggio '78. Nonostante sul piano giudiziario la sua posizione non cambiasse granché, Maccari volle però precisare che non era stato lui a sparare. Dopo la condanna definitiva tornò in carcere, dove è morto d'infarto il 26 agosto scorso. All'indomani della scomparsa, Lanfranco Pace torna a indicarlo come l'esecutore materiale dell'omicidio, raccontando con particolari inediti una ricostruzione dei fatti già adombrata in passato. Otto anni fa, infatti, quando l'ex «postina» delle Br nei 55 giorni del sequestro Adriana Faranda svelò il nome del quarto carceriere di Moro, aggiunse che - stando a quanto le aveva riferito Prospero Gallinari, anch'egli presente in via Montalcini e ritenuto fino a quel momento lo «sparatore» - a fare fuoco con la mitraglietta Skorpion fu proprio Maccari. Gallinari, all'epoca detenuto e oggi libero con la pena sospesa per motivi di salute, non ha mai voluto commentare questa versione dei fatti, attenendosi al silenzio che ha scelto da quando venne arrestato. Fu invece un altro protagonista degli ultimi istanti di Aldo Moro a smentire la ricostruzione della Faranda: Mario Moretti, il capo indiscusso delle Brigate rosse durante il sequestro Moro. Anche lui non ha mai risposto alle domande dei giudici, ma in un libro-intervista scritto con le giornaliste Rossana Rossanda e Carla Mosca sulla storia delle Br disse che fu lui a sparare: non potevo lasciare ad altri questa responsabilità. freccia rossa che punta in alto

6 Settembre 2001:

«Fu Maccari a uccidere Aldo Moro»: è questa la nuova versione di Lanfranco Pace, oggi giornalista del Foglio, già condannato per appartenenza alle Brigate rosse nel processo Metropoli, in un'intervista a Sette. Sostiene Pace: «Me lo ha rivelato lui, Moretti era in preda a una crisi di panico e Gallinari piangeva». Maccari, morto dieci giorni fa nel carcere di Rebibbia, avrebbe fatto le sue confidenze all'amico Pace: «Prima del suo processo. Era indeciso se dire ai giudici la verità. Poi non lo fece. Ora che è morto mi sento libero di farlo io». Che ne pensa di questa versione di Pace sul delitto Moro il sostituto procuratore generale Antonio Marini che ha promosso l'accusa contro le Brigate rosse in vari processi? «Non mi convince affatto. Perché è tardiva e contrasta con quanto è emerso durante i processi. Contrasta con quanto dichiarò Adriana Faranda che accusò Maccari nel '93 di aver sparato insieme a Moretti su Moro e con la confessione dello stesso Maccari secondo cui a sparare su Moro fu il solo Moretti. Contrasta con i riscontri oggettivi delle perizie: furono due le armi usate per uccidere Moro. Maccari imbracciava la Skorpion che lui dice di aver passato a Moretti dopo i primi spari che avevano ferito Moro. Se non fosse vero e avesse sparato lui, comunque Moretti sparò con la Walter Pkk. Contrasta con quanto disse lo stesso Moretti non ai giudici, davanti ai quali si è sempre rifiutato di rispondere, ma in un'intervista. Inoltre credo che Maccari non abbia detto tutta la verità e si sia portato nella tomba molti segreti. Per esempio: che fine ha fatto il memoriale originale di Moro?». Ma quel che afferma Pace non modificherà le sentenze? «No, le sentenze sono definitive. Non vorrei però che queste rivelazioni facilitassero ulteriori benefici del regime detentivo per qualcuno che non lo merita. Nè spero rilancino la campagna per l'amnistia o per l'indulto generalizzato che finirebbe per favorire anche gli irriducibili come Moretti, che non hanno mai mostrato alcun segno di serio ravvedimento e che non hanno mai collaborato con la giustizia per fare piena luce su questa tragica vicenda. La stessa Corte che l'ha giudicato ha qualificato la sua confessione "interessata e parziale, priva di qualsiasi nuovo elemento per la esatta ricostruzione del più grave delitto commesso dalle Br"». freccia rossa che punta in alto

19 Settembre 2001:

Pene varianti da 8 anni e 6 mesi a 5 anni e 6 mesi di reclusione sono state inflitte ieri dalla terza corte d'assise di Roma a tre irreperibili accusati di aver fatto parte delle Brigate rosse-Partito comunista combattentenegli anni Ottanta. La pena maggiore - otto anni e sei mesi - è stata decisa per Simonetta Giorgieri. Carla Vendetti è stata condannata a otto anni e quattro mesi di reclusione, mentre a Nicola Bortone sono stati inflitti cinque anni e sei mesi di carcere. La corte, presieduta da Giovanni Muscarà, ha assolto, per insufficienza di prove Carla Biano e il palestinese Kaled Hassan Thamere Birawi. La Corte, dopo una camera di consiglio durata un'ora mezza, in sostanza, ha accolto le richieste del pubblico ministero Franco Ionta limitandosi ad aumentare le pene a Vendetti (di quattro mesi) e Bortone (altri seic mesi) rispetto a quanto sollecitato dall'accusa. I cinque imputati erano finiti sotto processo per rispondere di associazione sovversiva e di banda armata. I nomi di alcuni di loro compaiono nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nel giugno dello scorso anno nei confronti di Alessandro Geri, il giovane sospettato di essere stato il telefonista che rivendicò l'omicidio dell'economista Massimo D'Antona ucciso a sangue freddo a Roma. Il processo terminato ieri in assise costituisce la conclusione dell'operazione che nel 1988 portò allo smantellamento della rete di brigatisti. Quanto alle singole posizioni, durante la requisitoria, il pubblico ministero Ionta aveva affermato che Giorgieri e Vendetti non si sarebbero limitate a far parte della struttura eversiva, ma avrebbero organizzato la fuga del gruppo di clandestini riparati in Francia e, successivamente, arrestati dopo il ritrovamento di armi, munizioni e documenti falsi nelle loro abitazioni. Meno pesante la posizione di Bortone il cui nome è tra l'altro comparso recentemente nel quadro dell'inchiesta culminata con l'arresto di otto militanti di Iniziativa Comunista sospettati di essere fiancheggiatori delle nuove Brigate Rosse. Nell'ambito dello stesso processo erano state giudicate, con il rito abbreviato, altre otto persone. In particolare, erano stati condannati Gino Giunti (due anni e sei mesi di carcere) e Marcello Tammaro Dell'Omo (due anni). freccia rossa che punta in alto

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