Ottobre 2004
21 ottobre 2004 - MITROKHIN: DA LUNEDI' MISSIONE A PARIGI PER CARTE CARLOS
(ANSA) MITROKHIN: DA LUNEDI' MISSIONE A PARIGI PER CARTE CARLOS
Missione di una delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul dossier Mitrokhin a Parigi, da lunedi' prossimo, per acquisire nuova documentazione su Carlos 'Lo sciacallo', il noto terrorista internazionale detenuto a Parigi. Dopo un primo invio di documenti la Commissione ha ritenuto di dover andare nella capitale francese per avere delucidazioni e nuovi documenti raccolti dalla magistratura francese nell'ambito della vasta documentazione riguardante l'attivita' terroristica svolta da Carlos sull'intero scacchiere internazionale. Al centro delle richieste, in particolare, i contatti di Carlos con i servizi dell'Est, Stasi e Kgb in particolare. "Noi - dice Paolo Guzzanti, presidente della Commissione - abbiamo molti indizi ed elementi che conducono ad indicarci che Carlos fu tra gli altri legato al Kgb e a diverse entita' medio orientali. Ci interessa sapere un po' di piu' fra i legami tra Carlos e le Brigate Rosse anche perche' qua e la' spuntano nomi, riferimenti, alcune tracce che portano fino ad oggi. Senza nessuna enfasi - dice ancora Guzzanti - senza lanciarci in avanti stiamo cercando di capire cosa lega Carlos alla rete internazionale dell'Est e alla sua attivita' ma sappiamo anche che lui non ha interesse a parlarci e quindi andremo a parlare con i magistrati. Cosa lega Carlos al caso Moro? Cosa lo lega alle Br? Perche' Carlos fu una pedina di quella guerra per bande scatenata nel 1980 nei confronti dei dissidenti libici?". Della delegazione faranno parte il presidente, i due vice presidenti e un rappresentante della maggioranza, Enzo Fragala', e dell'opposizione, Walter Bielli, oltre ad alcuni consulenti.
CHI E' CARLOS 'LO SCIACALLO'
Considerato per decenni la 'Primula rossa' del terrorismo internazionale, Ilich Ramirez Sanchez, dello 'Carlos', conosciuto anche come 'lo sciacallo" e' stato arrestato in Sudan il giorno prima di ferragosto del 1994 in Sudan. Dopo l'arresto e' subito consegnato alla Francia. Sembra che i servizi di tutto il mondo avessero di lui solo una vecchissima fotografia.
Nato il 12 ottobre 1949 a Caracas (Venezuela), figlio di un avvocato comunista che lo chiama Ilich in onore di Lenin, Carlos avrebbe firmato il suo primo attentato nel 1973 a Londra, sparando contro il direttore di un grande magazzino. In quell' occasione il colpo fu deviato dalla dentiera dell'uomo. Carlos, alto e corpulento, è ritenuto l'autore o l'ispiratore di vari sanguinosi attentati in Europa perpetrati negli anni '70 e '80, i più importanti dei quali sono il sequestro, avvenuto a Vienna nel 1975, di 70 persone tra cui 11 ministri del petrolio dei paesi dell' Opec, concluso con tre morti; un attentato, nel 1982, contro il treno Tolosa-Parigi sul quale avrebbe dovuto trovarsi il sindaco di Parigi Jacques Chirac, cinque morti. Carlos sarebbe stato al centro di una rete terroristica internazionale e avrebbe avuto rapporti soprattutto con gruppi oltranzisti palestinesi e con i tedeschi della Raf (Magdalena Kopp è stata la sua compagna per quasi 15 anni). Oltre al terrorismo, Carlos ha coltivato anche la sua romantica immagine di dandy vecchia maniera, collezionista di belle donne, gran bevitore, fumatore di sigari di grande qualità e nottambulo impenitente. Anche dopo il suo arresto ha avuto una love-story con la sua avvocatessa, Isabelle Coutant-Peyre. Il 24 dicembre 1997 Carlos e' condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Parigi per il triplice omicidio della Rue Toullier del 27 giugno 1975. Alla lettura della sentenza, Carlos ha alzato il pugno chiuso gridando: "Viva la rivoluzione". Il 23 giugno 1999 la Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Ilich Ramirez Sanchez e la condanna al carcere a vita è così diventata definitiva. In seguito la Francia ha respinto la richiesta di estradizione presentata dall' Austria per il sequestro dei ministri dei paesi Opec (Vienna 1975). Nel marzo del 2000, dal carcere parigino della Sante', Carlos ha rilasciato due interviste a quotidiani italiani, in cui ha parlato del caso Moro, di Ustica e della strage di Bologna e ha detto anche di ritenere probabile una nuova azione delle Brigate rosse. Ora la commissione Mitrokhin si recherà da lunedi a Parigi per acquisire carte sul terrorista in riferimento ai suoi rapporti con la 'rete' dei servizi dell'Est.
ARCHIVIO BR (La Repubblica)
Dalla fondazione nel ´72 a Sossi a Ruffilli, i nuovi brigatisti avevano tutti i documenti dei predecessori
Nei dischetti della Banelli l´ "archivio storico" br
Negli archivi la sequenza di tutti gli omicidi compiuti, opuscoli, volantini di rivendicazione e risoluzioni strategiche Con i blitz del 1988, gli inquirenti pensavano di aver messo le mani su tutte le carte. Ma tutto era stato messo al sicuro ROMA - Custodi ed eredi della stessa storia: dal 1969, primo anno di "lotta sociale e di organizzazione nella metropoli", al 1999, con il "bilancio dell´azione D´Antona". E´ il file numero 313 della documentazione informatica di Cinzia Banelli, s´intitola "vecchiso/indice doc" ed è un documento chiave per capire da dove sono arrivate le nuove Br. E dove potrebbero andare. Dal file numero 274 al 402 sono conservati i documenti più significativi della lotta armata in Italia dal 1969 a oggi. C´è tutta la storia delle Br, i primi documenti teorici, le risoluzioni, i volantini e i comunicati dal rapimento Sossi nel 1974 all´omicidio Ruffilli nel 1998. Ci sono i dibattiti interni, le regole di compartimentazione e sicurezza. Si capisce cosa vuol dire Nadia Lioce, l´ultimo capo, quando dalle gabbie delle aule processuali oggi rivendica: "Noi abbiamo ereditato tutto il portato teorico, politico e la prassi dell´Organizzazione". Le Br di oggi sono la stessa cosa di quelle di ieri e troppo facile sarebbe liquidarle, come ha fatto un capo storico come Alberto Franceschini, come "un gruppo di poveri disperati lontani anni luce dai vecchi dell´organizzazione". E´ cambiato tutto il resto intorno, e questo fa la vera differenza. Ma l´Organizzazione è la stessa, ripete rituali e strategie, rilegge e si rifà alle stesse analisi e agli stessi proclami. Li modifica solo per quello che impongono il tempo e gli anni passati.
Il file 313 contiene l´indice dell´archivio storico dell´organizzazione. Comincia con il 1969, con il documento che dichiara la nascita del "Primo collettivo metropolitano- autunno 69" e il proclama di "Lotta sociale e organizzazione nella metropoli". C´è il "Primo documento teorico del 1971" che risale a settembre dopo mesi di piccoli ordigni e incendi nelle fabbriche. E´ negli stabilimenti Pirelli a Milano che esordisce la firma Br. Il documento che testimonia la "Riorganizzazione dell´O" risale al 1972: è l´atto di nascita del primo vero esecutivo br formato da Curcio, Franceschini, Moretti e Morlacchi. Ci sono le "Relazioni dal fronte delle fabbriche" del novembre 1974 mentre il sindacato veniva sempre più infiltrato da elementi della lotta armata. Si può leggere il "Primo comunicato" sul rapimento del giudice Sossi a Genova, il pubblico ministero nel processo al gruppo XXII ottobre.
C´è un pezzo importante di storia d´Italia, anno per anno, di volantino in volantino. Le Br annotano il "Bilancio del processo Torino 1982" e diffondono le norme base per la sicurezza interna, un manuale che predica già dagli anni settanta la compartimentazione più rigida, la necessità di comunicare solo a voce o per scritto, e di seguire ad ogni incontro regole ferree di "contropedinamento". Trent´anni dopo quel manuale è stato ereditato in pieno dalle nuove Br. Rispettando un´impressionante sequenza di sangue, si ritrovano oggi in quei computer la documentazione di tutti gli omicidi politici degli anni ottanta: il sindaco di Firenze Lando Conti, Tarantelli, Ruffilli, il generale Hunt, il ferimento di Gino Giugni, il sequestro del generale Dozier. Rivendicazioni, opuscoli, volantini, bilanci di azione, risoluzioni strategiche: nulla è andato perduto, tutto è stato conservato.
Fa riflettere la lettura del file "Bozza di riflessione sugli arresti di settembre". E´ datato febbraio 1989. Cinque mesi prima l´anticrimine dei carabinieri arresta più di venti persone, fa irruzione in cinque covi tutti tra Roma e l´alto Lazio, sequestra armi, archivi cartacei, bilanci di azioni e rendiconti di spese. L´Italia è convinta di aver debellato una volta per tutte la malapianta del terrorismo. In quelle sei pagine militanti mai scoperti delle Brigate rosse ragionano su come riorganizzarsi, "sul difficile percorso di riadeguamento dell´O": "Sul piano politico generale - si legge - a questo stadio del processo rivoluzionario è necessario elaborare una vera e propria condotta della guerra di classe per capire l´atteggiamento tattico da tenere in successivi momenti di sviluppo del processo rivoluzionario". Le Br non erano sconfitte ma si stavano già riorganizzando.
Alcuni di questi documenti sono pubblici, altri sono copie, altri sono inediti. Eppure gli investigatori erano convinti di aver sequestrato tutto l´archivio delle Br nei blitz dell´antiterrorismo nell´autunno del 1988. C´è stato un passaggio di mano, una continuità prima teorica e poi anche operativa visto che i Nuclei comunisti combattenti hanno cominciato a riorganizzarsi dal 1992. L´archivio storico delle Br dunque è stato trasferito, ereditato e conservato. Così come le armi, di cui sono stati trovati finora solo gli elenchi e qualche deposito sottoterra ormai dismesso.
L´arresto dei diciassette militanti non significa in alcun modo che l´organizzazione è stata smantellata per sempre. Che sono state sradicate le radici dell´organizzazione. Con il semplice clic del tasto "invio" di un computer, il patrimonio teorico delle Br, l´archivio, può essere stato trasferito in altre memorie elettroniche a disposizione di altri possibili militanti. Gli stessi a cui Nadia Lioce rivolge i suoi appelli parlando "alla guerriglia ancora in attività".
L´INTERVISTA
Severino Santiapichi, giudice dei principali processi per l´assassinio del leader democristiano: "Le nuove Br non sono sconfitte la loro tecnica mi ricorda il caso Moro"
l'arma e i covi - Il mancato ritrovamento dell´arma che ha ucciso D´Antona e Biagi dimostra che non tutti i covi sono stati trovati.
i nuovi bersagli - Il numero dei nuovi bersagli, il rilievo delle cariche istituzionali nel mirino, fanno pensare a una struttura ben ramificata
i fiancheggiatori - Tutto fa pensare che ci sia una vasta base di militanti in libertà Temo che di questi signori sentiremo ancora parlare. MASSIMO LUGLI
ROMA - "Le nuove Brigate Rosse non sono state sconfitte. In questa fase, tutto fa pensare che ci sia una vasta base di militanti in libertà. E temo proprio che di questi signori sentiremo ancora parlare".
Non è certo un commento ottimista quello di Severino Santiapichi, uno dei magistrati più informati e competenti sulle vicende del terrorismo, per 20 anni presidente della I Corte d´Assise di Roma. Siciliano di Scicli (Ragusa), 78 anni, autore di numerosi testi di diritto, cortese e inflessibile al tempo stesso durante i dibattimenti, Santiapichi ha presieduto tutti i principali processi del caso Moro, ha diretto con mano di ferro le udienze sull´attentato al Papa, si è occupato dei Nuclei Armati Proletari e dei gruppi eversivi di destra oltre che dei più clamorosi fattacci di cronaca nera romana. Nel 1985 la nomina a procuratore generale presso la Corte d´Appello di Perugia. Oggi è in pensione ma il suo resta il parere di un esperto, un punto d´osservazione privilegiato sulle nuove fiammate delle Brigate Rosse. E come al solito va dritto al sodo.
- Non si può dire che i brigatisti siano stati annientati?
- "Mi sembra un´affermazione priva di fondamento. La vastità, il numero, il rilievo dei nuovi "bersagli"da colpire, l´importanza delle cariche istituzionali di alcuni personaggi finiti nel mirino fanno pensare a un´organizzazione ben ramificata, a una struttura solida che non può limitarsi soltanto alle persone arrestate dalle forze dell´ordine. Tra l´altro alcuni obiettivi erano persone sconosciute, di cui si parla solo nella stampa specializzata e questo fa nascere un drammatico sostetto".
- Connivenze interne?
- "Si, certamente. E´ un´ipotesi che, alla luce dei fatti, non può essere scartata".
- Nota differenze sostanziali tra vecchi e nuovi brigatisti?
- "L´unico, vero, cambiamento mi sembra l´abbandono del materiale cartaceo, dei documenti ciclostilati, a favore dei supporti elettronici. Per il resto, le tecniche di indagine mi sembrano identiche a quelle di vent´anni fa: pedinamenti, controllo degli orari, degli spostamenti dei "soggetti"come li definiscono loro. Mi sembra di rivedere certi passi dell´inchiesta brigatista su Moro, i pedinamenti da casa all´Università, le staffette e tante altre cose".
- Un tipo di indagine fatta sulla strada?
- "Si, perché i brigatisti non possono disporre di strumenti sofisticati come le intercettazioni telefoniche. Ma non per questo le loro tecniche investigative sono da prendere sottogamba. E le forze dell´ordine hanno dovuto dispiegare una grande professionalità per identificare e arrestare i terroristi. E´ stato un lavoro difficilissimo".
- Le sembra significativo il fatto che la pistola che ha ucciso Massimo D´Antona e Marco Biagi non sia stata ancora ritrovata?
- "Si, questo dimostra il fatto che non tutti i covi sono stati individuati e che ci sono ancora molti militanti ancora attivi".
- Dal punto di vista psicologico, umano, questi nuovi brigatisti le sembrano diversi dai loro predecessori?
- "No, nessuna differenza sostanziale. Anche il comportamento processuale mi sembra lo stesso: proclami, pugni alzati, rifiuto di riconoscere la corte. Nella documentazione scritta, invece, mi sembra che in passato il livello della documentazione ideologica fosse più elevato, più complesso".
- Stavolta, però, è stato decifrato un archivio elettronico, non le sembra un passo decisivo?
- "Vede, quando si scoprono degli archivi bisogna pensare sempre di trovarsi di fronte a materiale parziale e che sicuramente c´è qualcosa di molto più complesso ancora da trovare".
- Le vecchie Br erano organizzate a compartimenti stagni per motivi di sicurezza?
- "Credo che anche queste abbiano seguito lo stesso modello operativo. Le ripeto: poche cose mi sembrano cambiate anche se ovviamente il clima non è più lo stesso, la base d´appoggio e di fiancheggiatori oggi è molto più ridotta di allora".
- Eppure i nuovi brigatisti a volte, facevano politica anche alla luce del sole, non è una novità?
- "No, anche molti terroristi della vecchia generazione erano impegnati politicamente".
- Si aspettava un pentimento come quello di Cinzia Banelli?
- "E´ nella natura dei fatti. Resta da chiedersi se altri seguiranno la stessa strada ma per questo non si può fare altro che aspettare".
- Crede a un collegamento diretto, operativo, tra vecchi e nuovi brigatisti?
- "No, non vedo affatto un legame del genere".
22 Ottobre 2004 (Armando de Simone per "Il Denaro.it") Kgb e caso Moro le inquietanti verità nascoste
La Commissione Mitrokhin (dal nome di Vasilij Mitrokhin, defezionista del Kgb nella foto) partirà alla volta di Parigi. E' la prima volta che accade e questo non è l'unico motivo di interesse della trasferta. I commissari, infatti, avranno modo di parlare con i magistrati che hanno studiati gli atti del cosiddetto «incartamento Carlos», nome di battaglia di Illich Ramirez Sanchez, uno dei vertici dell'internazionale del Terrore. Della trasferta e della sue implicazioni ne parliamo con il presidente della Commissione il senatore Paolo Guzzanti. Cosa si attende la Commissione Mitrokhin dalla trasferta parigina? «Andiamo lì per avere due giorni di colloquio con il magistrato. Il quale, parlandoci di Carlos, forse ci aiuterà a comprendere ulteriori connessioni tra terrorismo islamico, comunista, e mediorientale di allora con le brigate rosse italiane e, perché no, anche con quell'area violenta antioccidentale e antiamericana di ieri che ha certamente le sue radici nel terrorismo di oggi. Su questa missione vorrei dire una cosa» La prego... « E' la prima volta che la Commissione Mitrokhin viaggia e io personalmente, come presidente, ho voluto dare un segnale di attenzione alle raccomandazioni dei presidenti Pera e Casini sul contenimento delle spese, pagandomi di tasca mia viaggio e alloggio. E' anche un mio modo di rispondere a qualche politico che ha cercato di imbastire basse speculazione sugli sperperi inesistenti» Presidente, negli atti compare il nome di Morucci come membro della Separat, organizzazione del Kgb. Lui nega. Cosa può significare questo? «Valerio Morucci e la Faranda furono fatti arrestare da Giorgio Conforto, capo del Kgb a Roma, il quale proteggeva Moretti, loro uomo. Fece insomma arrestare i due brigatisti non filosovietici che avevano cercato di salvare la vita a Moro. E ricordo anche che la figlia di Conforto, nella cui casa fu trovata la famosa mitraglietta Skorpion non fece nemmeno un ora di galera. Ora tutti sappiamo che Carlos ha avuto molti padroni e fra questi anche il Kgb. Basta così: non mi avventurerei oltre prima di aver ascoltato il magistrato francese». Dai documenti francesi potrebbero venire una conferma della pista sovietica del caso Moro? «La pista già esiste: sia attraverso la verificata presenza di Kolosov, il falso studente di Moro che attraverso la cancellazione, proprio sul libro scritto da Vasili Mitrokhin e dallo storico inglese Christopher Andrew, del riferimento al ruolo di Conforto. Quello sbianchettamento fu operato dal Sismi il quale, per dirla con le parole del suo direttore generale Siracusa. «riceveva specifiche direttive comportamentali dai governi». Dunque un governo di centro sinistra si è preso la briga di far togliere dalle bozze di un libro il riferimento al ruolo dell'uomo del Kgb con la gestione del rapimento Moro...». Come spiega che uomini del Pci erano a conoscenza di documenti segreti all'epoca del rapimento Moro? «Sappiamo per certo che Giorgio Amendola andò a protestare con l'ambasciatore dell'Urss per il sostegno cecoslovacco alle Brigate rosse, come se non sapesse che il servizio segreto ceko era una branca del Kgb sovietico: un atto di patetica ingenuità. Quanto alle informazioni che il Pci aveva dai cecoslovacchi posso solo ricordare che larghi settori del Pci avevano un rapporto strettissimo e operativo con Praga che riguardava l'intelligence fin da quando la capitale cecoslovacca era diventata la residenza di centinaia di fuoriusciti italiani ricercati per crimini commessi dopo la Resistenza, quando credevano di dover passare alla rivoluzione. La contiguità con i servizi cechi fu l'autostrada che portò Giangiacomo Feltrinelli e le prime Br, quelle ingenue e autentiche, a Praga. Amendola sembrava preoccupato soltanto dello scandalo che avrebbe potuto travolgere il Pci se il legame fra Br e mondo comunista fosse saltato fuori facendo fare una brutta figura a chi si era sbilanciato nel giurare che il Pci era un partito totalmente parlamentare e legalitario». Alcuni dossier desegretati della Cia dimostrano che gli Usa non erano contrari al compromesso storico, così come moltissimi nei servizi segreti in Urss. Alla luce di questo e soprattutto dell'operazione di disinformazione «Sperone» non è il caso di rivedere la vulgata che vuole Moro ucciso perché voleva i comunisti al governo?
«I documenti pubblicati recentemente dimostrano al di là di qualsiasi dubbio che gli Usa puntavano sull'evoluzione del Pci in area democratica e quindi al compromesso storico, così come avevano fatto con i socialisti nei primi anni sessanta. La Cia puntò all'evoluzione del Pci e Moro era il garante politico dell'operazione. Gli americani dunque non avevano alcun interesse a stoppare l'operazione e ad uccidere Moro, come invece impose di credere la propaganda del Kgb attraverso la famosa operazione Sphòra con cui furono intossicati i giornali, i media e infine anche il cinema. Quanto ai sovietici, erano molto divisi fra di loro sul compromesso storico e nel Politburo esistevano correnti ferocemente ostili a Berlinguer che subì anche un attentato in Bulgaria. Quello che è certo è che il Kgb seguiva molto da vicino Moro e le Br». Il generale Martini, ex direttore del Sismi, parlo di importantissimi documenti militari top secret che nel corso del sequestro Moro sparirono e che poi tornarono in cassaforte dopo la sua morte. «Secondo una scuola di pensiero uno dei motivi del rapimento era quello di carpire segreti militari dell'Alleanza Atlantica, come ad esempio il sistema di difesa Nord dell'Italia costringendo Moro a dire tutto quel che sapeva e aprendo una trattativa di scambio che prevedeva la consegna di piani militari segretissimi. Questa ipotesi si allaccia alle numerose lacune e punti molto oscuri delle carte di via Montenevoso che il colonnello Bonaventura portò frettolosamente via dal covo delle Br, prima che potesse essere fatto un inventario.»
E se la morte di Moro fosse stata soltanto la parte finale di un'operazione di controspionaggio del Kgb? «Noi parliamo sempre di Kgb, ma in realtà dimentichiamo che era estremamente attivo il Gru, il servizio segreto militare russo: una vera potenza occulta. Sul caso Moro non abbiamo ancora elementi certi e possiamo soltanto scrivere scenari sensati. Fra questi anche quello secondo cui le Br avrebbero passato le carte dello scambio ai loro referenti sovietici, uccidendo però lo l'ostaggio per impedirgli di parlare. Ma queste sono solo ipotesi, benché non campate per aria».
(L'Opinione) - Fragalà: "Cossutta si sente messo con le spalle al muro" - di Ruggiero Capone
Enzo Fragalà è il deputato che da anni si occupa d'eversione comunista in Italia, oggi è capogruppo di An, commissione Mitrokhin, e nelle passate legislature è stato membro della commissione Stragi. L'opinione lo ha intervistato per spiegare la posizione di Armando Cossutta dei Comunisti italiani, e per fare luce sui vecchi legami delle Br con il Kgb. Perché Cossutta ha presentato un suo libro con D'Alema, e nel testo solo tre pagine sono dedicate al Kgb? Cossutta si sente messo con le spalle al muro. Quindi tenta d'affermare, all'interno della sinistra neo comunista, la propria rispettabilità: uno dei mezzi è la pubblicazione di un libro negazionista. Ma c'è un qualcosa di roboante che inchioda Cossutta, cioè il silenzio assordante di Bertinotti: il leader di Rifondazione comunista non ha detto una parola in difesa di Cossutta (leader dei Comunisti italiani). Bertinotti sta dimostrando la sua coerenza. Bertinotti non è mai stato nel Pci e soprattutto non è mai stato una spia, quindi non se l'è sentita d'intervenire a favore di Cossutta. E poi una cosa è l'adesione all'idea comunista, altro è fare la spia a favore d'un paese nemico che condizionava la nostra vita politica: basta ricordare che il Kgb era implicato nel sequestro Moro, il tentato omicidio del Papa, poi ha depredato i nostri segreti industriali e militari, e soprattutto attentava alla nostra sicurezza. Cosa ha dimostrato Mitrokhin? Che Armando Cossutta non solo sarebbe stato un collettore di soldi per il Pci (secondo quanto si legge nel rapporto) ma anche una fonte confidenziale di Mosca. Era un agente operativo, cioè il massimo nella scala gerarchica del Kgb. L'informativa 132 etichetta Armando Cossutta come «contatto confidenziale della residentura del Kgb di Roma». Tra i documenti forniti dall'archivista Mitrokhin c'è il resoconto di un incontro che il leader dei Comunisti italiani ebbe la notte del 12 dicembre 1975 con l'ambasciatore sovietico in Italia, Nikita Ryzhov. Da quelle relazioni un cosa appare certa: Cossutta era contrariato dall'atteggiamento dei vertici del Pci in quel periodo, ed erano i tempi della svolta di Berlinguer. Alla voce finanziamenti sovietici al Pci, risulta, appunto, che Cossutta era un collettore di soldi (in compagnia di altri dirigenti: da Longo a Cappelloni) per il partito. Perché Berlinguer chiuse con Mosca ed odiava il Kgb? Quando Berlinguer scampò l'attentato in Bulgaria non volle più mettere piede in alcun paese del «Patto di Varsavia», e soprattutto si raffreddò con i comunisti che intrattenevano rapporti confidenziali sovietici. Angeletti della Uil ha confermato le sue teorie sulle Br? Angeletti conferma che a sinistra c'è la certezza sul fatto che le quinte colonne delle Br sono annidate nel ministero del Lavoro ed in alti apparati dello stato. Dico che Bassolino potrebbe sapere qualcosa su questa gente. E' fuori dubbio che esista un altro Senzani di turno, che ha segnalato prima D'Antona e Biagi, poi Letta, Catalini e Salvatori. Ci sono pupari insospettabili, nascosti nelle istituzioni e nei sindacati, che trasformano le parole in piombo, l'odio ideologico in sangue. Fino a che punto il sistema brigatista ha inquinato i vertici dello stato? L'eccezionale attività di indagine svolta dalle forze dell'ordine sui «file» delle Brigate Rosse, finalmente decrittati grazie al pentimento di Cinzia Banelli, riporta alla luce l'inquietante interrogativo che la demagogia di sinistra ha sempre tentato di occultare. Fin da quando ero componente della storica commissione stragi m'interrogavo su chi potesse fornire ai terroristi rossi le indicazioni strategiche e gli obiettivi da colpire, soprattutto chi indirizzasse la mano omicida verso personaggi la cui rilevanza istituzionale è assolutamente sconosciuta a tutti. Non si può ignorare la scoperta dei nomi dei tre obiettivi delle Br: Enrico Letta, Mario Catalini e Gianni Salvatori. Tutti nei «file» informatici dell'organizzazione terrorista. Il terribile sospetto è che alcune quinte colonne, sin dai tempi delle prime imprese negli anni '70 del brigatismo rosso, si siano annidate nei gangli delle istituzioni, di partiti e sindacato. Oggi sono ancora vivi e vegeti. Il Senzani di turno, che ha individuato e indicato come bersagli del terrorismo brigatista prima Massimo D'Antona, poi Marco Biagi e adesso (sappiamo dalle indagini) anche Enrico Letta, Marco Catalini e Gianni Salvadori, è certamente nascosto in un nodo istituzionale, e legato ad apparato sindacale, dove è in grado di far conoscere alle Brigate Rosse, vecchie o nuove che siano, il nemico da abbattere. A chi pensa? Ad un innominabile grande vecchio delle Br, ad un «salotto buono intellettuale» su cui è vietato indagare. La verità atroce, soprattutto per le vittime, è che esistono questi pupari insospettabili che, con la scusa della lotta sindacale o della contrapposizione politica, forniscono alla manovalanza armata i bersagli per far diventare piombo le parole e sangue l'odio ideologico.
28 ottobre 2004 (La Repubblica) Br, Senzani in libertà "Forte rammarico per vittime"
Dopo 23 anni libertà condizionale per l'ex ideologo fiorentino ". La lotta armata oggi ha ancora meno senso di allora" Giovanni Senzani torna in libertà. L'ideologo delle Br, che era in regime di semilibertà dal '99, non dovrà più rientrare in carcere la sera. Considerato uno dei capi delle Br dopo Moretti, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Roberto Peci, fratello del brigatista pentito Patrizio, Senzani vive a Firenze dove gestisce un libreria-case editrice. "Mi è stata concessa la libertà condizionale, un beneficio previsto dalla legge dopo aver scontato quasi 23 anni di carcere, di cui gli ultimi cinque in semilibertà" spiega l'ex terrorista.
Alla base della decisione del giudice la convinzione che Senzani abbia avviato una rivisitazione critica del suo passato. "Sento molto forte il rammarico per i danni e le vittime causate dalla lotta armata" dice l'ex ideologo delle Br ai giornalisti. Le stesse parole che aveva detto ai giudici. Sarebbe stato questo, secondo lo stesso Senzani, uno dei motivi che hanno "convinto" il tribunale di sorveglianza di Firenze a concedergli la libertà dopo 23 anni di carcere.
Adesso Senzani dice che vorrebbe risarcire le vittime del terrorismo, ma non ha i soldi per farlo. "Sono rammaricato di quanto successe allora, e mi dispiace per non avere le risorse, i soldi, per rifondere i danni causati", ha detto Senzani ai cronisti, quasi meravigliato che ancora oggi la sua vicenda possa avere interesse.
L'ex ideologo ha poi commentato il ritorno dei terroristi che si richiamano all'esperienza delle Br. E lo ha fatto per prenderne le distanze: "L'ho già detto e lo ripeto: non capisco i riferimenti che vengono fatti rispetto al passato e oggi la lotta armata ha ancora meno senso perché porta avanti azioni che possono causare morti in un mondo che è completamente diverso".
Ex docente di criminologia alla facoltà di magistero di Firenze, esponente dell'ala dura delle Brigate Rosse, Senzani fu catturato il 9 gennaio '82 a Roma, dopo una latitanza di due anni. Condannato all'ergastolo poiché ritenuto tra i responsabili dell'organizzazione terroristica nelle fasi dei sequestri dell'assessore della Regione Campania, Ciro Cirillo, e del magistrato Giovanni D'Urso, dell'uccisione di Roberto Peci, fratello del pentito Roberto, è stato detenuto nel carcere di Trani, nel 1999 ha ottenuto la semilibertà ed è stato trasferito alla casa circondariale Santa Teresa del capoluogo fiorentino. Nel 2001 suscitò alcune polemiche l'impiego dell'ex brigatista, attraverso una convenzione tra l'associazione di volontariato Pantagruel e la Regione Toscana, al centro di documentazione "Cultura della legalità democratica".
Senzani è stato più volte definito "l'inquirente" delle Brigate Rosse. E' infatti dopo la pubblicazione dei "verbali di interrogatorio" del magistrato Giovanni D'Urso, sequestrato dai brigatisti, che si comincia a parlare di lui. Dopo il rilascio del giudice gli inquirenti si convinsero che era stato Senzani a condurre l'interrogatorio del magistrato, mostrando una profonda conoscenza dei problemi delle carceri, della struttura e dei progetti della direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena.