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Roberto bartali.it

Maggio 2001

25 Maggio 2001

Ario Pizzarelli, in carcere dal 1993 per il primo attentato alla base Nato di Aviano, è il portavoce degli irriducibili prima in carcere a Novara, ora a Biella. «Ci identifichiamo nella linea, nell'impianto strategico e nell'intera storia trentennale delle Brigate Rosse. Rivendichiamo la valenza politica dell'azione del 20 maggio 1999 contro D'Antona, consigliere del ministro del Lavoro. Azione che ha rappresentato un salto di qualità per il rilancio del processo rivoluzionario e dell'impianto delle Brigate Rosse». Si esprime a braccio Pizzarelli dalla gabbia degli imputati detenuti nella piccola aula 58 del Palazzo di Giustizia. «Per noi, meglio di noi, parlano la guerriglia in attività e la nostra organizzazione». C'è un'ultima dichiarazione: «Vogliamo ricordare anche tutti i combattenti antimperialisti caduti durante l'Intifada palestinese e nelle galere turche». Quaranta minuti dopo, esauritesi la requisitoria del pm Onelio Dodero e le arringhe dei difensori Attilio Baccioli di Grosseto e Tommaso Ducci di Firenze, il giudice monocratico Barbieri condanna proprio Pizzarelli a un anno e due mesi di carcere e assolve Stefano Minguzzi, Cesare Di Lenardo, Francesco Aiosa e Daniele Bencini (assente al processo anche per rimarcare il distacco dagli altri). Il reato contestato ai cinque era l'«apologia e la propaganda sovversiva e antinazionale»: avevano tentato di far uscire dal carcere un messaggio di rivendicazione dell'«azione contro D'Antona». Pizzarelli, a differenza degli altri detenuti, aveva ripetuto la rivendicazione il 25 novembre 1999 in occasione di un analogo processo in cui fu assolto. Quella sua dichiarazione nel corso di un processo pubblico avrebbe dato carattere di «diffusività» all'azione di propaganda, come ha rilevato il pm citando la giurisprudenza della Cassazione. Questa è stata la discriminante tracciata dalla sentenza rispetto alle obiezioni dei difensori. Baccioli, per i quattro irriducibili, ha sostenuto che Di Lenardo, in carcere da 20 anni per il sequestro Dozier, Minguzzi, altro ergastolano per l'omicidio del senatore Roberto Ruffilli, Pizzarelli e Aiosa «sono indifferenti alle condanne e non fanno che riaffermare la propria identità nelle aule di giustizia e in carcere. Loro sono antagonisti di questo sistema. La Costituzione assicura libertà di pensiero: vale per tutti, antagonisti compresi, oppure per costoro no?». L'avvocato Ducci a nome di Bencini, «condannato a 14 anni per reati associativi, che in carcere si è staccato dal percorso dei compagni e prossimo al fine pena», ha puntato sull'incostituzionalità del reato. Alla fine, con la sentenza, il giudice ha ordinato la trasmissione degli atti alla Procura per un nuovo documento sequestrato ai brigatisti alla partenza da Biella. freccia rossa che punta in alto

26 Maggio 2001

Luca Recaldone si incontrava a Milano con l'irriducibile delle Br, il latitante Nicola Bortone? Per il Tribunale del Riesame si tratta della conferma di una «pericolosa convergenza» tra il gruppo ristretto di Iniziativa Comunista e gli irriducibili brigatisti rossi. A casa di Rita Casillo, altra indagata, viene sequestrata una «risoluzione strategica datata aprile 1999», un mese prima dell'omicidio del professor Massimo D'Antona rivendicato dalle Br-Pcc? «Nessuno degli indagati ha spiegato in modo convincente - sostengono i giudici del Riesame - la provenienza del documento che, per il suo contenuto, rappresenta un indiscutibile punto di saldatura tra gli indagati e le Br-Pcc». Il primo capoverso del documento non lascia davvero dubbi: «I compagni e le compagne che propongono questo documento di dibattito fanno parte della cellula per la costituzione del Partito Comunista Combattente...». Sabrina Natali viene sospettata dalla Procura di aver fatto parte del gruppo di terroristi che ha eliminato il professor Massimo D'Antona? «E' una ipotesi investigativa», sottolineano i giudici romani. A una settimana dalla scarcerazione di tre degli otto indagati di Iniziativa Comunista per associazione sovversiva, il Tribunale del Riesame ha depositato le motivazioni della sua decisione. A leggere l'ordinanza del Riesame, trova conferma l'impianto delle indagini del Ros dei Carabinieri, e le contestazioni della procura della Repubblica: «Non si possono seriamente escludere indizi gravi di costituzione di una struttura il cui fine era quello di entrare in rapporto di interlocuzione politica con le Br per il conseguimento dell'ulteriore fine di sovvertimento dell'ordinamento economico e sociale dello Stato». Anche le motivazioni delle tre scarcerazioni non smentiscono il coinvolgimento dei tre indagati nella inchiesta, solo che propongono una diversa valutazione dei ruoli avuti dai tre: per Raffaele Palermo, Sabrina Natali e Stefano De Francesco, scrivono i giudici, «più correttamente si dovrebbe parlare della meno grave ipotesi di partecipazione all'associazione sovversiva, per la quale non è consentita la misura coercitiva». Insomma, non sono promotori e organizzatori ma soltanto partecipi dell'associazione sovversiva. Ai legali degli otto indagati che, nelle settimane scorse, avevano contestato le accuse, parlando di assenza di «condotte sovversive», i giudici del Riesame controbattono con due argomentazioni. La prima: «L'ordinanza impugnata ha evidenziato con dovizia di particolari gli esiti delle lunghe indagini che hanno messo in luce l'esistenza, all'interno di Iniziativa Comunista, di un gruppo ristretto il cui fine era l'ingresso nell'organizzazione delle nuove Brigate Rosse attraverso l'adesione al progetto rivoluzionario di quest'ultimo». La seconda: «Il reato di associazione sovversiva, per costante giurisprudenza, viene considerato una fattispecie di pericolo presunto che prescinde dalla realizzazione degli intenti specifici di sovversione violenta dell'ordine sociale ed economico, che i membri dell'associazione illegale si prefiggono. Ne discende l'irrilevanza non solo dell'accertamento della responsabilità degli indagati per i reati ricollegabili all'oggetto sociale, ma della stessa commissione di reati in genere». freccia rossa che punta in alto

30 Maggio 2001

Giovanni Senzani avrebbe avuto un ruolo di vertice nel sequestro di Aldo Moro. Il criminologo forlivese «potrebbe aver organizzato a Firenze le riunioni del Comitato esecutivo delle Brigate Rosse durante i 55 giorni del sequestro» e potrebbe aver svolto anche il ruolo del cosiddetto «grande inquisitore nel corso delle controverse fasi del processo al quale venne sottoposto l'ex presidente del Consiglio». Lo sostiene il presidente della commissione Stragi Giovanni Pellegrino in un documento di 35 pagine inviato ieri mattina al capo della Procura di Roma, Salvatore Vecchione. Il rapporto, firmato anche dal vicepresidente dell'organismo bicamerale Vincenzo Manca, è arrivato in Procura nelle ultime 24 ore del mandato di Pellegrino ed è il prodotto dell'esame di numerosi documenti, testimonianze e verbali degli apparati investigativi. Tra gli altri, il fascicolo della Questura di Firenze intestato a Senzani, dal quale emerge che il criminologo era conosciuto dalla Digos del capoluogo toscano dal settembre del 1978. Ma il suo nome è stato messo in stretta relazione al sequestro Moro anche nell'ambito delle audizioni di due magistrati della procura di Firenze: Tindari Baglione e Gabriele Chelazzi, oltre a quella dell'ex vice questore di Genova Arrigo Molinari. In particolare, Baglione ha affermato di aver saputo che Senzani «faceva il consulente per il caso Moro» da un brigatista siciliano che venne arrestato a Firenze nell'appartamento di Borgo Ognissanti occupato anche dal criminologo. Un ruolo, questo, che verrebbe rivelato all'allora vice questore di Genova, Arrigo Molinari, dal capo della P2 in Liguria, William Rosati. Il quale disse che «Senzani e suo cognato Enrico Fenzi erano i veri intellettuali delle Br in grado di stendere documenti teorici e pratici della strategia br». La Digos arriva ad identificare Senzani il 5 ottobre del 1978. Il criminologo, rileva il documento di Pellegrino, risulterà in contatto con uno dei componenti del del Comitato rivoluzionario toscano, Giovanni Ciucci, al quale Prospero Gallinari chiederà di «ricompattare le file del Crt decapitato dopo gli arresti del 19 dicembre del 1978». Senzani verrà arrestato il 21 marzo 1979 e rimesso in libertà due giorni dopo. Solo il 3 gennaio del 1981, durante la fase finale del sequestro del magistrato Giovanni D'Urso, verrà colpito da un ordine di cattura per banda armata, associazione sovversiva e sequestro di persona emesso dalla procura di Roma. «Dal complesso delle acquisizioni, delle risultanze giudiziarie e da varie testimonianze - afferma Pellegrino - trova ampia e strutturata conferma l'ipotesi che il professor Senzani abbia avuto un ruolo attivo e di vertice non solo per il Crt ma anche e soprattutto per la Brigata settore della Contro Colonna romana delle br e per lo stesso fronte nazionale della Controrivoluzione, almeno a far data dal secondo trimestre del 1977». Nulla è invece emerso a conferma dell'ipotesi che Senzani abbia svolto un'attività di consulenza per conto del ministero dell'Interno relativamente al caso Moro. freccia rossa che punta in alto

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