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Roberto bartali.it

Giugno 2001

10 giugno 2001

Spunta la foto dei giudici fotografati in via Caetani durante le indagini sull'omicidio di Aldo Moro da controllori rimasti misteriosi. Ferdinando Imposimato e Rosario Priore, nel '78 incaricati dell'istruttoria sulla strage di via Fani e sul sequestro del Presidente della Dc, vennero immortalati dall' alto durante un sopralluogo nella zona del ghetto dove fu trovato il corpo di Moro. Era l'agosto di ventitre anni fa, e i due magistrati avevano appena saputo da Elfino Mortati, dissociato dalle Br ed ex del comitato rivoluzionario toscano, che in quei luoghi c'erano basi dell'organizzazione. In una di queste, Mortati fu ospite nella primavera del '78. La foto fu poi inviata a Rosario Priore accompagnata da un biglietto di "buon lavor". "È una fotografia sicuramente presa dall' alto - afferma il giudice - e ricordo che si diceva fosse stata scattata dal campanile della chiesa di Santa Caterina dei Funari, dal quale si vede molto bene piazza Lovatelli, dove pure facemmo delle ricerche". Ferdinando Imposimato aggiunge: "quell'istantanea aveva uno scopo intimidatorio. Eravamo controllati nelle nostre indagini da qualcuno dei servizi segreti allora pienamente impegnati ad intorbidire le acque. In via Caetani, o molto vicino, doveva esserci una postazione dalla quale si potevano controllare i movimenti di molti senza essere visti. Alla luce di quanto emerso di recente dalla commissione Stragi sull'esistenza di un appartamento del Sisde all'ultimo piano di un palazzo in via Caetani - aggiunge Imposimato - non mi stupirebbe se fosse proprio quello il punto di osservazione". freccia rossa che punta in alto

Giugno 2001

toria di Giorgio Conforto: una spia per tutte le stagioni": Giorgio Conforto con la nipotina: morto nel 1986, lavorò per 40 anni per vari servizi segreti. È una nota riservata e finora rimasta segreta del ministero dell'Interno. Porta una data un po' remota, 10 febbraio 1954, ma il suo contenuto è clamorosamente attuale. Vi si legge la vera storia di Giorgio Conforto, agente assoldato per oltre 40 anni dal Kgb, il controspionaggio sovietico. Un signore dall'aria tranquilla, nome in codice Dario, classe 1908, laurea in legge e impiego ministeriale, al servizio di Mosca sin da quando era giovanissimo, appena 24 anni. Quando, l'11 ottobre 1999, venne reso pubblico dal nostro Parlamento il dossier Mitrokhin (un lungo elenco di cittadini sospettati di intelligenza con l'Unione Sovietica), l'attenzione si concentrò principalmente sulle tre pagine dedicate all'agente Dario, definito ottimo spione e reclutatore di infiltrati. Per missioni speciali, Dario poteva trasformarsi in Spartak o in Bask, in Chestny o in Gaudemus. Clamorosamente la sua vera identità, come rivelava il dossier Mitrokhin, era appunto quella di Giorgio Conforto, residenza a Roma, in viale Giulio Cesare al civico 47, quarto piano. Un indirizzo diciamo storico perché proprio in quel luminoso appartamento, il 29 maggio 1979, un anno dopo l'uccisione di Aldo Moro, la polizia aveva fatto una sorprendente scoperta: vi trovò, con due terroristi latitanti quali erano Valerio Morucci e Adriana Faranda, la famosa mitraglietta Skorpion usata per freddare il leader democristiano sequestrato dalle Brigate rosse. La figlia di Conforto, Giuliana, docente universitaria e titolare dell'appartamento, venne arrestata per favoreggiamento e poi completamente scagionata. Sul conto di suo padre, allora, non trapelò incredibilmente alcuna notizia. Sapere, in quel periodo, che una spia del Kgb viveva, magari anche solo casualmente, sotto lo stesso tetto che riparava due brigatisti di prima grandezza e ricercati per il rapimento di Moro avrebbe indubbiamente allargato l'orizzonte delle indagini. Ma nemmeno alla magistratura venne inviato un rapporto sul suggestivo passato del signor Conforto. L'agente Dario rimase tranquillo nella casa di viale Giulio Cesare ad accudire le due piccole nipoti, figlie di Giuliana... Nonostante quella nota segreta custodita negli archivi del Viminale e rintracciata pochi mesi fa dalla Commissione parlamentare sulle stragi. Rendere pubblici quei documenti avrebbe forse creato qualche grosso problema. E non solo a Mosca. È possibile servire il Kgb e l'Ovra, essere conosciuti dalla Cia e dai servizi segreti del Viminale senza venire mai scoperti? È possibile fare non il doppio, ma il triplo e il quadruplo gioco, servendo potenze tra loro acerrime nemiche? È possibile apparire nei retroscena del caso Moro senza incorrere in seri guai? Seguendo la storia di Dario, possiamo capire molti intrighi degni di un romanzo di Le Carré. "Conforto fu reclutato nel 1932 su base ideologica. Era un avvocato che lavorava come giornalista e come funzionario agrario in Italia. Cinque anni dopo il suo reclutamento, nel 1937, fu infiltrato nel Partito fascista e successivamente nel Centro anticomunista annesso al ministero degli Esteri italiano" rivela il dossier Mitrokhin. "Sotto la bandiera di questa organizzazione, Conforto reclutò tre dattilografe del ministero degli Esteri, Darya, Anna e Marta, dalle quali ottenne regolari informazioni documentarie". Insomma, Conforto è una spia ben inserita nei gangli del potere a partire dal periodo mussoliniano sino a quel giorno in cui la polizia, alla ricerca di Morucci e Faranda, bussò al numero 47 di viale Giulio Cesare. "Conforto non sapeva del legame di sua figlia con i terroristi e si trovava nell'appartamento quando questa venne arrestata" annota il dossier Mitrokhin. Ma nel mondo del controspionaggio, si sa, la prudenza non è mai troppa: Conforto viene ringraziato con l'insigne decorazione della Stella rossa e premiato con una dignitosa pensione in rubli. Questa è la storia vista dall'ottica di Mosca. Ma eccone un'altra, quella che emerge dagli archivi del Viminale. Oltre alla nota del 10 febbraio 1954, i consulenti della Commissione sulle stragi hanno scoperto un voluminoso dossier sulla spia Dario. Nello stesso anno in cui Conforto accetta l'arruolamento nelle file del Kgb, invece di agire nella massima segretezza, si mette in bella mostra come fosse un agente provocatore. Il 2 ottobre 1932 viene arrestato a Milano per avere svolto propaganda sovversiva. In carcere rimane poco, ma lui non capisce la lezione tanto che riesce a farsi arrestare una seconda volta, il 14 febbraio 1933. È accusato di far parte di una organizzazione comunista. Due arresti in nemmeno sei mesi: un flop per una vera spia. Ma Conforto deve avere non uno, ma due santi protettori. Anziché andare al confino perché ritenuto "elemento pericoloso per la sicurezza dello Stato", torna in libertà e riesce a trovare un impiego come "avventizio" non in un posto qualsiasi, ma "presso il ministero dell'Agricoltura". Incredibile: l'assunzione fu decisa su disposizione personale di Benito Mussolini "al quale il Conforto si era rivolto con una supplica". Mosca è convinta di avere un suo uomo a Roma, ma forse a Roma qualcun altro crede di avere a propria disposizione una pedina su cui giocare di fioretto. È il 23 luglio 1940. Su disposizione del questore di Roma, Conforto viene trasferito dal ministero dell'Agricoltura a quello degli Esteri, strategicamente importantissimo, considerato che da oltre un mese il nostro Paese è in guerra. Conforto non è più un "avventizio", ma un funzionario dell'Ufficio informazioni segrete del ministero degli Esteri. Il fatto è singolare anche perché giusto un anno prima, il 15 ottobre 1939, Guido Leto in persona, il capo dell'Ovra, la temutissima polizia politica di Mussolini, aveva lanciato un allarme sul conto di Conforto. Ha troppi contatti con la schiera dei fuorusciti dall'Unione Sovietica, sosteneva l'altissimo funzionario. La potente polizia politica non sospetta che Conforto possa essere un uomo del Kgb? Oppure teme che l'esuberanza dell'agente Dario possa insospettire Mosca? La risposta probabilmente sta in una lettera trovata nel dossier segreto del Viminale. Porta la data del 26 luglio 1941 ed è indirizzata proprio "all'illustrissimo Guido Leto". A scriverla è Conforto in prima persona. "In ottemperanza alle istruzioni impartitemi dal ministero degli Affari esteri, mi pregio comunicare che ho preso contatti con i seguenti membri dell'emigrazione russa...". Insomma, la grande spia dell'Est è anche un informatore dall'Ovra. Ma c'è dell'altro. Siamo alla fine del 1946. Entrano in scena due uomini mito del controspionaggio occidentale. Sono James Jeus Angleton e Umberto Federico D'Amato. Il primo, per 12 anni ha capitanato la Cia, il controspionaggio americano. Il secondo ha diretto lo spionaggio interno italiano, l'Ufficio affari riservati del Viminale. Entrambi hanno avuto un ruolo nel salvare dalla fucilazione l'ex capo della X Mas, il principe Junio Valerio Borghese. Entrambi sono esperti di "operazioni coperte", azioni da attribuire agli avversari con la complicità di agenti dal doppio ruolo. Angleton, detto la Volpe, temutissimo persino nelle file della Cia, riuscì nel 1956 ad acquistare la copia del discorso con cui Nikita Kruscev al XX Congresso del Pcus demolì lo stalinismo e diede inizio alla storica svolta. D'Amato, considerato "l'archivio segreto della Repubblica" e abilissimo nell'infiltrarsi nei movimenti eversivi, ha fatto capolino in quasi tutte le inchieste sul terrorismo, a cominciare dalla strage di piazza Fontana. Ebbene una sera di quel lontano 1946, Angleton e D'Amato sono a tu per tu. Parlano di grandi strategie e convengono che, ormai finito il fascismo, il vero pericolo è rappresentato dal comunismo e dunque su quel fronte bisogna impegnare i servizi segreti. "Quella sera stessa" aveva spontaneamente ricordato D'Amato in un'intervista "Angleton mi disse che gli interessavano notizie su un certo Conforto". Incredibile: il ruolo di Dario, spione di Mosca, informatore dell'Ovra, era già noto dalla fine della guerra anche alla Cia e ai nostri Affari riservati. È presumibile che su sollecitazione della Cia Conforto sia stato messo sotto osservazione dai nostri servizi. Ma i documenti del Viminale si fermano alla nota del 1954, come se Conforto fosse entrato dopo quell'anno in un tunnel. D'Amato, morto nel 1996 a 77 anni, non ha mai spiegato il ruolo della spia Dario. Si era limitato, in quell'intervista di molti anni fa, ad accennare all'interesse di Angleton per Conforto, forse per mandare qualche segreto messaggio. In attesa del dossier Mitrokhin. freccia rossa che punta in alto

19 giugno 2001

Morto il Sen. Paolo Emilio Taviani. IL senatore a vita Paolo Emilio Taviani era un mattatore assoluto nelle ultime ricostruzioni della commissione Stragi. Uno dei padri della Patria che poteva illuminare i parlamentari-inquirenti sui misteri della Repubblica. E lui, Taviani, per un po' li aveva delusi. Ma poi, quando decise che ormai era giunto il momento di raccontare la verità sugli anni difficili della guerra fredda e della Ragion di Stato, l'anziano senatore a vita parlò. Raccontò che il Sid era spaccato tra uno spezzone che "tralignava" con i bombaroli neri e un altro che si opponeva. Spiegò che c'era una differenza sostanziale tra le bombe del '69, dove riconosceva una responsabilità "istituzionale", e le stragi del '73, che erano "reattive". Ossia rappresentavano la reazione dei manovali del terrore contro chi li aveva usati e poi scaricati. Queste erano le verità che Paolo Emilio Taviani scrisse nei suoi diari e che raccontò l'anno scorso alla magistratura. Ma poi il vecchio partigiano cattolico chiamò a casa sua il diessino Giovanni Pellegrino, che presiedeva la commissione, e gli diede la lettura "politica" di quello che era accaduto in quegli anni. Presidente Pellegrino, allora non è vero che il Parlamento ignorava la verità di Paolo Emilio Taviani. "Certo che no, è una semplificazione giornalistica. Taviani ha parlato apertamente con l'autorità giudiziaria e noi della commissione Stragi acquisimmo il verbale. Io oggi posso dire che solo grazie a Taviani ho capito la strategia della tensione. Con me, poi, a quattr'occhi, si è scusato perché non aveva raccontato tutto nell'audizione del 1997. Davanti a un caffè a casa sua, un paio di mesi fa, mi disse anche che non era il caso di tornare in commissione perché si rendeva conto che il clima era ancora avvelenato e che anzi con l'avvicinarsi delle elezioni si sarebbe fatto un uso strumentale di qualunque cosa avesse detto". E così dicendo il senatore Taviani mostrava ancora di essere molto attento alla politica. "Era di una lucidità politica assoluta. Aveva fatto la Resistenza. Ma quando poi il Paese aveva fatto la scelta di campo occidentale, lui diventò coscientemente un uomo dell'alleanza atlantica. Si rendeva conto della necessità storica di un anticomunismo di Stato. Allo stesso tempo non recise mai i rapporti con Arrigo Boldrini, cioè l'altra parte". Cosa le rivelò sulla strategia della tensione? "Mi disse che la genesi andava collocata nel periodo tra il suo primo e il suo secondo mandato di ministro all'Interno. Cioè sostanzialmente tra l'estate del 1968 e il febbraio del 1972. Quando tornò al Viminale, disse, capì il tralignamento degli apparati con la destra estrema e intervenne mettendo fuo i legge Ordine Nuovo". Come era stato possibile questo cosiddetto "tralignamento", per stare alle sue vparole? "Per via della debolezza politica dei dorotei. Al solito, quando è debole la politica, gli apparati si prendono delle libertà. Mi parlò anche di una grave crisi del nostro servizio segreto militare nel momento del passaggio da Sifar a Sid. Non mi parlò mai, invece, di quali rapporti il Viminale intratteneva con la destra estrema. Rapporti che ci furono". Una debolezza politica che naturalmente, lui ministro, non c'era. "Escludeva decisamente che il '73-74 fosse un remake di piazza Fontana. Mi ripeté: so che a piazza Fontana non dovevano esserci morti, anche se non so chi mise la bomba. Invece a Brescia volevano uccidere. Solo che le vittime predestinate erano i carabinieri, non la folla. Era la vendetta di chi si sentiva abbandonato dallo Stato. D'altra parte è chiaro che i carabinier stroncarono il gruppo di Fumagalli, ma facendo sparire ogni contatto imbarazzante". E quella storia dell'ufficiale del Sid, Fusco, che tentò in extremis di evitare la strage di piazza Fontana? "Mi disse che c'era appunto un pezzo del servizio segreto che cercava di bloccarli. Anche se il progetto non prevedeva morti, ad alcuni sembrava ugualmente una pazzia. Troppo tardi: arrivò all'aeroporto di Fiumicino e sentì alla radio dell'esplosione di Milano". Lei dunque crede alle rivelazioni di Taviani? Certo. Le ho fatte mie nel libro "Segreto di Stato". Taviani mi mandò un biglietto per ringraziarmi. Concludeva così: "Duro come me c'era solo Scelba. Ma insieme abbiamo salvato l'Italia". Era un anticomunista. Ma un grand'uomo". freccia rossa che punta in alto

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