Giugno 2002
9 Giugno 2002: (Liberazione)
I servizi segreti italiani, durante il sequestro Moro, contattarono le Br per trattare la liberazione del presidente della Dc. Lo rivela Oreste Scalzone, l'ex leader di Potere Operaio. «Mi risulta che settori dei servizi italiani, di osservanza morotea ed in quel momento appoggiati da Craxi, avevano chiesto ai palestinesi ufficiali se potevano, con i loro contatti, arrivare alle Brigate Rosse. I mediorientali, in ottimi rapporti con il colonnello Stefano Giovannone, di stanza a Beirut, a loro volta girarono la cosa ai latitanti del gruppo Carlos, tra cui un certo Weindrich». Il tam-tam arrivò, secondo Scalzone, ai «compagni svizzeri che si misero in moto e arrivarono a noi di Autonomia. Ci interessava stabilire l'apertura di una trattativa. Del resto, Signorile ce lo aveva già chiesto tramite Zanetti. Eravamo convinti che sarebbe stato catastrofico l'epilogo che si è di lì a poco concretizzato. In quell'occasione, feci capire che un "filo" c'era già con le Br. Leggo - aggiunge Scalzone - che ci sarebbero in giro dei documenti (pubblicati da "Liberazione" e "Famiglia Cristiana", e ripresi da "Primo Piano" del Tg3, ndr) secondo i quali un agente dei servizi fu mandato a Beirut una settimana prima del sequestro Moro, ma non lo trovo plausibile. Secondo questa ipotesi gli apparati di sicurezza, avendo saputo in anticipo del rapimento, avrebbero mandato in giro una richiesta di scarcerazione. Sarei più propenso a credere, se non si tratta di una "bufala", ad un errore materiale di datazione». A meno che, ipotizza l'ex leader di Potop, non «ci sia qualcuno che vuole arrivare a dire che Moro venne deliberatamente lasciato rapire e uccidere dalle Brigate Rosse senza alzare un dito. Dunque, questi signori ci stanno dicendo che Berlinguer e Zaccagnini hanno ballato sul programma dei servizi segreti. Che l'allora segretario del Pci, insieme a tutto il partito della fermezza, avrebbe fatto il loro gioco».
23 Giugno 2002: (da "Misteri d'Italia") - OMICIDIO BIAGI: NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE BOLOGNESE
- Dire che l'inchiesta stia languendo è un mero eufemismo. A tre mesi dall'omicidio del giuslavorista Marco Biagi, l'inchiesta sui suoi assassini è ormai surgelata, priva di sbocchi e di piste, se non quelle tradizionali che si riducono a qualche perquisizione di routine negli ambienti semplicisticamente ritenuti contigui al terrorismo di sinistra. Dopo la gran confusione fatta con le perizie sulle armi usate dalle Brigate Rose che hanno rivendicato l'attentato e l'asserita (ma mai documentata) identità delle armi che hanno sparato il 19 marzo scorso in via Valdonica a Bologna con quelle che assassinarono il 20 maggio 1999 Massimo D'Antona, in via Salaria a Roma, agli inquirenti bolognesi restano solo quattro identikit (ne erano stati designati un'infinità) di cui uno estremamente incerto (un terrorista o un passante?). Altra pista sterile quella sulla scheda del cellulare Wind con cui è stato trasmesso, via Internet, il comunicato di rivendicazione dell'omicidio Biagi. È stato accertato solo che la scheda telefonica è stata acquistata, ai primi di marzo, in un grosso centro commerciale alla periferia di Bologna, è stata attivata alle 19.40 del 19 marzo (ossia all'incirca mezz'ora prima dell'omicidio), è stata utilizzata il 20 marzo per trasmettere il comunicato e poi è stata ancora usata ai primi di aprile nella zona di Roma, per non lasciare più tracce.
27 Giugno 2002: (Corriere della Sera)
ROMA - E' una corsa contro il tempo, quella di inquirenti e investigatori, come nella caccia a un serial killer. Una corsa per smascherare le nuove Brigate rosse prima che tornino a uccidere. Perché se non si riesce a individuarle e fermarle colpiranno ancora e prima, molto prima dei tre anni trascorsi tra l'omicidio di Massimo D'Antona (maggio '99) e quello di Marco Biagi (marzo 2002). Su questo punto tutte le analisi concordano, e c'è pure chi si spinge a individuare nel prossimo autunno la stagione in cui i terroristi potrebbero rientrare sulla scena. Per il ministro dell'Interno Scajola lo scontro sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e la spaccatura nel movimento sindacale sono già foriere di nuove «tensioni» e «atteggiamenti estremisti». Ieri l'ha detto in Parlamento ed è probabile che ne abbia discusso anche con Ciampi, in uno dei periodici colloqui al Quirinale fissati nella sua agenda. Senza dirlo esplicitamente, Scajola ha fatto balenare lo spettro di una situazione favorevole al terrorismo in agguato, suscitando le prevedibili reazioni di chi grida alla strumentalizzazione politica. Ma al di là delle polemiche, il ministro ha ben chiaro il quadro che da tempo gli prospettano servizi segreti e forze di polizia: per adesso le indagini sulle nuove Br hanno portato a risultati poco al di sopra dello zero, mentre è presumibile che i terroristi stiano preparando la loro prossima azione. E l'autunno, con la discussione sulla legge finanziaria che non sarà semplice, potrebbe rappresentare l'occasione giusta. «Con gli omicidi di Biagi e D'Antona le Br hanno chiaramente dimostrato, sia a livello di prassi che di elaborazione teorica, come intendano essere presenti, a modo loro e con i loro strumenti, nel dibattito politico-economico nazionale», ha detto pubblicamente un mese fa il direttore del Sisde Mario Mori. I rapporti riservati che gli 007 hanno compilato nelle ultime settimane alimentano con alcuni dettagli l'idea che anche le Br vorranno dire la loro dopo la pausa estiva. In primo luogo perché non hanno più l'esigenza di attendere le risposte e le reazioni degli altri gruppi favorevoli alla ripresa della lotta armata, come avvenne dopo l'omicidio D'Antona. Dal maggio del '99, per un paio d'anni, c'è stato un proliferare di micro-attentati firmati da vari nuclei «proletari» o «rivoluzionari» che sono stati letti come un dialogo a distanza con chi aveva ucciso il consigliere dell'allora ministro del Lavoro; ora non c'è bisogno che quella fase si ripeta, e anzi per alcuni analisti la compenetrazione tra le Br e il principale di questi gruppi minori - i Nuclei territoriali antimperialisti - è già avvenuta. Lo dimostrerebbe il fatto che la rivendicazione dell'omicidio Biagi da parte degli Nta arrivò addirittura prima di quella delle Br. Interrogato sul punto durante l'audizione al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, Scajola ha lasciato intendere che questa è un'ipotesi investigativa molto concreta. Di qui l'idea di un rafforzamento delle Br che può portare a iniziative più ravvicinate nel tempo. In più c'è la convinzione che, nel momento in cui è stato programmato l'attentato a Biagi, i terroristi abbiano svolto altre «inchieste» su obiettivi alternativi al professore bolognese, com'è sempre avvenuto nella tradizione dei gruppi armati. Questo significherebbe che informazioni su nuovi bersagli siano già a disposizione dei brigatisti, che potrebbero entrare in azione con maggiore celerità rispetto al passato. Scajola ha assicurato ieri che tutte le protezioni possibili sono scattate, ma ai margini della cerchia degli obiettivi sorvegliati sarà sempre possibile individuare il primo senza protezione. L'omicidio Biagi viene inoltre considerato un salto di qualità rispetto a quello di D'Antona anche dal punto di vista organizzativo (per gli investigatori le Br sono radicate a Roma, e dunque hanno agito «in trasferta», contando su appoggi logistici costruiti nel tempo), e nessuno se la sente di escludere che l'evoluzione del gruppo sia arrivata al punto di poter attaccare anche un obiettivo protetto dalla cosiddetta «tutela» o dalla scorta armata. Per questo, polemiche e strumentalizzazioni politiche a parte, al Viminale si guarda con preoccupazione alle tensioni sociali attuali e prossime venture, nella consapevolezza che l'unico vero antidoto a un nuovo attentato terroristico sarebbero indagini che avessero finalmente imboccato la giusta direzione. Ma al momento, per quello che se ne sa, è soltanto una speranza.
30 Giugno 2002: (Corriere della Sera)
- A centotré giorni dall'omicidio di Marco Biagi, il procuratore aggiunto di Bologna è costretto a difendersi mentre al Consiglio superiore della magistratura s'annuncia un'inchiesta sullo svolgimento delle indagini: un classico dei misteri italiani. Sembra un cattivo presagio, anche se tre mesi e poco più non sono certo una scadenza definitiva. Tanto meno in una storia di terrorismo riemerso dal nulla. Ma le polemiche sulle lettere uscite dal computer del professore assassinato riportano in primo piano le difficoltà e gli affanni di un'inchiesta che dà l'impressione di girare a vuoto. La matrice terroristica del delitto Biagi fu subito chiara, insieme alle analogie con l'omicidio di Massimo D'Antona, ucciso a Roma dalle Brigate rosse il 20 maggio 1999. Si parlò di unificare le due indagini, ma l'ipotesi venne accantonata. I primi accertamenti stabilirono l'identità della pistola per i due delitti e della marca dei proiettili usati per uccidere. Contemporaneamente furono raccolte le testimonianze e disegnati alcuni identikit. Alla ricerca di volti sospetti sono stati visionati i filmati delle telecamere della stazione ferroviaria, dove Biagi era arrivato in treno, e poi di quelle piazzate lungo le strade percorse dal professore in bicicletta, mentre inconsapevole andava incontro ai suoi assassini. Non ne è venuto fuori nulla di concreto, almeno a quel che è dato sapere. Qualche indicazione sul numero dei componenti del commando, nemmeno troppo precisa: tre persone, forse quattro o cinque. Così come niente di interessante è venuto dalle conversazioni e dalle telefonate intercettate a partire dal 20 marzo. Sono stati registrati i colloqui di persone sospettate di appartenere ad «aree contigue» alle nuove Brigate rosse, e di antichi militanti del partito armato rimasti «irriducibili» e tornati in libertà dopo aver scontato lunghi periodi di detenzione. Come avvenne dopo il delitto D'Antona, gli investigatori hanno piazzato le microspie nelle celle dove sono rinchiusi gli ultimi «prigionieri politici combattenti» che rivendicano l'operato delle nuove Br. Sono gli assassini di Roberto Ruffilli, ucciso nel 1988, che da dietro le sbarre hanno sottoscritto i due omicidi del '99 e di quest'anno. Ma anche da lì non sarebbe emerso nulla di utile per le indagini. I proclami dal carcere danno copertura storica e politica ai brigatisti della seconda Repubblica, e gli esperti dell'antiterrorismo continuano a leggere e rileggere quelle pagine nella speranza di trovare qualche indicazione che possa indirizzare il lavoro degli investigatori verso la svolta giusta. Agli uomini della Digos i vertici della polizia hanno affiancato funzionari di Squadre mobili provenienti da diverse città, per cavare quanto più possibile dai metodi classici d'indagine: l'ordine è di svolgere col massimo scrupolo tutti gli accertamenti e i riscontri, anche sul minimo indizio, come se quello di Biagi fosse un delitto comune. Ma nemmeno così, per adesso, si è riusciti ad afferrare il bandolo della matassa. Ora si scopre che, tra tante cose fatte, almeno una è rimasta fuori: il sequestro dei computer del professor Biagi. Niente di grave, s'è affrettato a dire il procuratore aggiunto, perché gli hard-disk sono stati copiati per intero, e su quelli si sta lavorando. Ma aver lasciato i computer al loro posto apre nuove ipotesi su chi - a cento giorni dal delitto - ha deciso di estrarre le lettere della vittima e renderle pubbliche. A questo punto potrebbe non trattarsi di una fuga di notizie dagli apparati di inquirenti e investigatori. E il fatto che solo ieri, in Procura, si siano resi conto di avere a disposizione altre missive di Biagi (non solo le tre di cui ha parlato in un primo momento il capo dell'ufficio) lascia intendere che potrebbero esserci altri scritti del professore. Nel frattempo riesplode la polemica sulla scorta revocata a Biagi, che probabilmente ha poco a che vedere con l'omicidio. Perché se sono state le Br a uccidere il consulente del ministro Maroni, l'esperienza di trent'anni di inchieste sul terrorismo rende implausibile che a minacciarlo siano stati gli stessi che l'hanno assassinato. I brigatisti non mettono sull'avviso le loro vittime: ammazzano e parlano al «proletariato», non ai loro bersagli. Dunque quella delle minacce e del perché Biagi rimase senza protezione è un'altra storia. Che si sovrappone, ma non può cancellare, quella di un'indagine ancora troppo buia. La stessa che si sta scrivendo a Roma, dove sul delitto D'Antona magistrati, poliziotti e carabinieri hanno accumulato solo gli insuccessi di un pugno d'arresti revocati poco dopo. Da quell'omicidio, di giorni ne sono passati non 103, ma 1.136. E gli assassini sono ancora in libertà.