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Roberto bartali.it

Marzo 2008

18 marzo 2008 (Panorama) - "VIA IL SEGRETO DAL CASO MORO"
A TRENT'ANNI DI DISTANZA IL GIUDICE CHE PIU' DI OGNI ALTRO HA INDAGATO SUL PRINCIPALE DELITTO POLITICO ITALIANO CHIEDE CHIAREZZA. E LA DISPONIBILITA' DEI DOCUMENTI SEGRETI ANTICIPATI DA PANORAMA

"Quei faldoni riservati sul caso Moro sono una novità. Una grande novità che ci ha colti di sorpresa. Ora il governo deve togliere il segreto. E subito». La veemenza delle parole non fa velo all'amarezza, che affiora da ogni sillaba. E come può essere altrimenti, visto che il giudice Rosario Priore, gran parte della propria vita professionale spesa a sul sequestro e sull'assassinio di Aldo Moro, scopre solo ora che alla magistratura vennero negate molte carte importanti (vedere Panorama 11)?
Giudice, la domanda è d'obbligo: che effetto le fa?
Sono sorpreso, molto sorpreso. Se a suo tempo avessimo potuto vedere quelle carte, probabilmente l'esito delle nostre inchieste sarebbe stato diverso.
In tutta sincerita, anche alla luce di questa scoperta, si può dire che sul caso Moro si sappia tutto?
No, non sappiamo tutto. La verità accertata sul piano giudiziarfio non è esaustiva, perché esistono ancora delle zone d'ombra. Sul piano squisitamente giudiziario abbiamo fatto molto. Il grosso, bene o male. Perché abbiamo preso quasi tutti i partecipanti all'azione.
Quasi tutti.
Ma sì. Certo, potremmo ritrovarci fra 30 anni ancora con qualcuno che dice: non sappiamo il nome di quello che era sull'angolo, in via Fani… Mancherà sempre qualcuno alla conta. Ma sul piano delle resposnabilità individuali il più è fatto.
E allora che cosa manca?
Manca ancora quel salto di qualità che ci faccia comprendere gli eventi, spostandone l'interpretazione dal piano poliziesco-giudiziario a quello storico-politico. E' quel salto che ci consentirebbe di capire chi volle il sequestro Moro, a chi doveva servire e per quali finalità.
Continuano a fronteggiarsi due scuole di pensiero: una ipercomplottista e l'altra minimalista. A quale si sente più vicino?
A nessuna delle due, naturalmente. Sono entrambe lontane dalla realtà.
Che cosa non le piace della chiave di lettura ipercomplottista?
Se ne va sulla base di una catena di ipotesi che non trovano però il sostegno di fatti, documenti, carteggi, testimonianze. Cavalca l'idea di un intervento da parte delle maggiori potenze, cioè l'idea di un complotto internazionale, ma senza alcun riscontro. Parla di una progettualità a tavolino da parte di governi e servizi segreti, prescindendo dalla realtà della nostra società.
E di quella minimalitsa che cosa non condivide?
Definisce il caso Moro come un fatto di cortile di casa nostra, realizzato da gruppi di poveri esagitati, in parte figli del '68, che sarebbero stati capaci di tenere in scacco le nostre istituzioni. E così facendo non vede alcuna responsabilità sopra e a lato dell'evento, quindi prescinde totalmente dal contesto interno e internazionale.
Se la verità giudiziaria non è esaustiva, non crede che qualche colpa ce l'abbiano anche i giudici?
La magistratura avrebbe dovuto capire subito proprio questo, che era di fronte a un delitto politico assai complesso. Quindi o avrebbe dovuto andare fino in fondo, approfondendo anche la personalità di Moro e i moventi del suo assassinio (ma non ne aveva i mezzi, tanto che solo adesso sappiamo dell'esistenza di faldoni coperti dal segreto di Stato), oppure avrebbe dovuto passare la mano ai politici, agli storici e ai giornalisti investigativi. Ma non ha fatto né l'una né l'altra cosa. E così si sono perse molte delle facce di un evento così grande.
Quali sono le zone d'ombra?
Non si può isolare la storia italiana dal contesto internazionale. Il nostro era un paese collocato sulle due frontiere più calde del dopoguerra: quella con l'Est comunista e quella mediterranea. E al centro di questa conflittualità c'era Moro, con la sua politica di apertura a sinistra e filoaraba.
Le ricostruzioni tengono conto sempre e solo del delitto Moro, non del personaggio politico?
E' proprio così. Moro era un personaggio di enorme complessità, non facilmente accessibile a chi non conosce la nostra storia. Per questo ci si accontenta di narrare il delitto, non la personalità dell'uomo e il contesto.
Perché Moro fu ucciso?
Fu ucciso perché era l'obiettivo di un folle disegno rivoluzionario. E poi per gli interessi più disparati, che si sono sovrapposti all'azione, di chi tentata di trarne un vantaggio. Era un'occasione ghiotta, specialmente per chi operava a danno di un paese debole, di una democrazia non solida com'era la nostra negli anni Settanta.
Forze interne o esterne?
Interne ed esterne. Ognuna con proprie finalità: per spostare l'asse della politica a destra o a sinistra, o per rafforzare tendenze verso determinate aree di influenza.
Quali aree?
Quelle della grande partita tra Est e Ovest. Ma anmche aree minori all'interno dei due blocchi: inglese, francese, cecoslovacca, bulgara, tedesca, araba, israeliana… Numerose erano le entità che poteva trarre vantagglio dal sequestro Moro e dal suo esito finale.
Una storia italiana, ma da leggere anche in chiave geopolitica?
Assolutamente sì. Una storia italianissima e proprio per questo influenzata da interessi circostanti o sovrastanti.
Il salto di qualità, di cui lei avverte il bisogno, consisterebbe dunque nell'introduzione di categorie geopolitiche nella ricostruzione delle nostre vicende interne?
Esatto. Occorrerebbe superare un limite culturale nato da una grande bugia storica: per 60 anni abbiamo detto che l'Italia era autonoma e indipendente, mentre, in realtà, era un paese sconfitto in guerra e quindi soggetto alle potenze vincitrici. Un input in questo senso dovrebbe venire da istituti e fondazioni come il Gramsci, il Basso, lo Sturzo, la Nenni… Ma non vedo alcuno muoversi. Pigrizia? O interessi particolari che finiscono per azzerarsi a vicenda? Mi aspetto allora che siano lo Stato, il governo, le istituzioni parlamentari a fare un primo passo desecretando quelle carte e mettendole a disposizione degli studiosi e dei giornalisti. E subito. freccia rossa che punta in alto

by abrapalabra