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Roberto bartali.it

Luglio 2004

05 Luglio 2004 (Dagospia)
DA VIA GRADOLI AL MINISTERO DELL'INNOVAZIONE TECNOLOGICA: GIULIO DE PETRA, DIRETTORE AREA SVILUPPO E-GOVERNMENT REGIONI ED ENTI LOCALI

- Ogni tanto il passato riemerge, specie quello targato anni Settanta. Proprio nei giorni dell'estradizione di Cesare Battisti, dalle parti di Palazzo Chigi si parla di una persona. Si chiama Giulio De Petra, è direttore dell'Area sviluppo e-government Regioni ed Enti Locali nel Ministero dell'Innovazione Tecnologica, quello di Lucio Stanca. L'appunto contiene precise informazioni sugli spostamenti di De Petra e segnala che la vettura, scomparsa dopo la scoperta del covo, è riapparsa verso la metà di giugno". E in una seduta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Enzo Fragalà (An) ha ricordato che "proprio quella palazzina di via Gradoli 96 era già conosciuta dalla Ucigos, e cioè dalla Direzione generale della pubblica sicurezza, fin dai primi mesi del 1978 perché vi era stata condotta da un esponente, un militante di Potere operaio, tale Giulio De Petra, che era seguito perché aveva un furgone Volkswagen, targato BS 111992, parcheggiato in quella zona e che poi venne anche visto in Calabria nella disponibilità della compagna del professor Piperno.
Curiosità: il 30 settembre 2002 De Petra ha partecipato alla presentazione alla stampa dei finanziamenti della Regione Emilia-Romagna per la montagna, a Bologna. In quale strada? In viale Aldo Moro. freccia rossa che punta in alto

7 luglio 2004 - (ANSA):
BR: D'ANTONA A FRANCESCHINI, PERCHE' TACI SU QUEL NOME?

Olga D'Antona incontra per la prima volta un brigatista, Alberto Franceschini, autore unitamente a Giovanni Fasanella, del volume "Che cosa sono le br", edito dalla Bur. Un' occasione che spinge la vedova del professor Massimo D'Antona a chiedere a Franceschini di non aver piu' nulla nel cassetto sulla storia delle vecchie br. In particolare, Olga D'Antona, presente questa sera alla presentazione del volume con Giuseppe Vacca, Paolo Franchi e Agostino Giovagnoli, ha chiesto a Franceschini di non tacere un nome, quello del br che accompagno' Mara Cagol, la compagna di Renato Curcio e fondatrice delle br, nell' ultimo suo trasferimento quando venne intercettata e colpita a morte dai carabinieri alla cascina Spiotta. Un "segreto" che la D'Antona ritiene inutile e che deve cadere. "E' la prima volta - dice la parlamentare - che mi trovo davanti ad un br. Una persona mite come lei, Franceschini, ma la prego dica quel nome. Non puo' tenerlo nascosto. Perche' quello delle br non e' un fenomeno concluso. Potra' magari riprendere tra qualche anno. E sappiamo che ci sono delle continuita', ci sono delle "teste pensanti" e quindi lei non puo' tacere nulla perche' tutto potrebbe essere importante". Franceschini era intervenuto in precedenza ricordando quello che era il "sogno" di ogni rivoluzionario e cioe' quello di strumentalizzare l' avversario.
"Tutti noi ci siamo sempre raccontati tra di noi la storia del vagone piombato di Lenin messo a disposizione dai servizi segreti tedeschi per permettere al capo sovietico di fare la rivoluzione. Tutti noi abbiamo pensato che la condizione per parlare di certi accordi fosse la vittoria. Che potevano essere raccontati solo se si fosse vinto, ma noi siamo stati tutti sconfitti e chi li ha fatti non puo' oggi rivelarli". Rosario Priore, anch' esso presente stasera alla presentazione e che ha scritto al volume una postfazione, ha ricordato un dato che e' ben presente nel volume di Franceschini e Fasanella e cioe' che il Pci conosceva i nomi dei terroristi. "Non voglio farla semplice, ma quei nomi si sapevano ed erano a conoscenza non solo del Pci ma anche di molti altri gruppi e partiti della sinistra e anche in altri partiti non della sinistra". "Nelle br - ha spiegato ancora Priore - vi era una forte compartimentazione, ma anche noi, come magistrati che abbiamo indagato su quella vicenda, siamo stati tenuti all' oscuro su importanti risvolti emersi solo negli ultimi anni. Vi erano livelli di conoscenza differenti. Noi non sapemmo all' epoca che un agente del Kgb seguiva Moro, ignoravamo il ruolo giocato da Igor Markevich nella vicenda e non sapevamo che un agente del Kgb, come Conforto, era presente all' arresto di Morucci e Faranda e che anzi ne era la fonte. Se noi avessimo saputo questi elementi all' epoca, le nostre inchieste avrebbero imboccato una strada ben diversa". Priore ha parlato anche di un episodio citato tra i molti da Franceschini e Fasanella, cioe' l' attentato a Berlinguer in Bulgaria. "Sono certo che quello non poteva che essere un attentato. Sono stato a visitare il luogo in cui e' accaduto durante una delle mie rogatorie all' estero. La visibilita' era assoluta per chilometri. In quell' attentato perse la vita non ricordo se un interprete o l' autista. Da quello che mi e' stato detto pero' il vertice del partito voleva prendere due picconi con una fava perche' il vice premier, fortemente inviso al vertice, doveva morire in quella occasione". freccia rossa che punta in alto

15 luglio 2004 - Lettera a Dagospia di Malcom

Caro Dagospia, rispondo alle giuste, ma secondo me, incomplete riflessioni di Onekenoby sul caso Moro e sulla prigione di Via Montalcini.
Le riflessioni che riporti sono sostanzialmente corrette ma credo siano necessarie alcune integrazioni per evitare di far diventare rapporti causa-effetto quelle che invece sono solo delle supposizioni.
Nessun brigatista ha mai affermato di aver nascosto a Moro che sarebbe stato ucciso. Lo stesso Moretti alla domanda di Zavoli "Fu detto a Moro che sarebbe stato ucciso?" (riferendosi alla mattina del 9 maggio quando il presidente uscì dalla prigione) rispose "Gli fu risparmiata un'ultima violenza" intendendo che non gli fu detto esplicitamente "Presidente ci segua che la uccidiamo". Moro era intelligente e sapeva che l'uscita da Via Montalcini equivaleva a rendere esecutivo il gerundio "eseguendo la condanna" del precedente 6 maggio.
Non è corretto dire che le testimonianze di Moretti, Maccari & c. dimostrano che Moro fu spostato da Via Montalcini ma solo che non gli fu fatta un'ulteriore violenza. Cosa che Moro aveva ovviamente capito e si era affrettato nello scrivere degli appunti senza destinatario.
Moro era convinto che la soluzione positiva della sua liberazione fosse stata trovata. È evidente che la sua unica fonte siano stati gli stessi brigatisti. Quando scrive: "desidero dare atto che alla generosità delle Brigate Rosse devo, per grazia, la salvezza della vita e la restituzione della libertà. Di ciò sono profondamente grato" può vuol dire due cose:

  1. le Br così come per Sossi avevano deciso che Moro fosse più utile da vivo che da morto e avevano approvato al sua liberazione (cosa sempre smentita da Moretti che ha sempre dichiarato che l'ala dei militanti favorevoli a un gesto unilaterale era in netta minoranza).
  2. C'erano state delle trattative segrete al di fuori dei canali ufficiali (governo, Vaticano, DC, ecc.) e che era stato trovato un terreno di scambio reciprocamente proficuo.

Evidentemente questa soluzione, che non trovava consensi tra chi aveva scelto la fermezza e chi era interessato a sotterrare Moro e le sue carte, deve essere stata ostacolata sino al punto di sovvertirla. In ogni caso non credo si possa affermare che questo equivale a dire che Moro era già stato liberato e fosse in mano ad altri che non fossero le br.
Un'ipotesi da fantapolitica potrebbe essere che Moro sia stato effettivamente liberato dalle br (che hanno avuto il loro tornaconto, quale?) e che fosse stato ceduto ad altra organizzazione che lo avrebbe dovuto riconsegnare vivo. Ma magari questo ulteriore passaggio sarebbe stato effettuato per essere sicuri di averlo in mano e non subire uno scherzo troppo grosso come la liberazione (qualcuno avrebbe comprato la certezza di eliminare il presidente). Ma se costruiamo castelli su ipotesi come questa (e ce ne sono tante altre in giro) non arriveremo mai alla verità e consentiremo a chiunque di continuare a strumentalizzare questa triste vicenda. freccia rossa che punta in alto

16 Giugno 2004 (Dagospia.com)
MORO PER SEMPRE - CHE TORNACONTO PUÒ AVER AVUTO MORETTI IN CAMBIO DEL SILENZIO SUL VERO MEMORIALE? - CHI FU L'ISPIRATORE DEL FALSO COMUNICATO N.7 DEL 18 APRILE (DA QUEL MOMENTO MORO VIVO NON CONTAVA PIÙ GRANCHÉ...)

Lettera 1
Caro Dagospia, a proposito di Libero Maesano (lettera di Iggy: "Ciao Dago, ma lo sai che anche Libero Maesano (Potere Operaio) é consulente strapagato al CNIPA (Centro Nazionale per Informatica nella Pubblica Amministrazione) del potente presidente Zoffoli e con l'avallo del ministro Stanca? Perché non dedichi un approfondimento a quanto succede in quel posto?") ti segnalo un passo su Maesano tratto dal libro "Il delitto infinito", ultime notizie sul sequestro Moro, scritto dal magistrato Silvio Bonfigli (con Jacopo Sce), consulente della commissione Stragi, e pubblicato nel 2002:

"Erano noti i contatti fra i capi di Autonomia e alcuni capi delle Br prima, durante e dopo il sequestro Moro; ad esempio quelli di Pace e Piperno con Morucci, Faranda e Moretti. E nel comitato di redazione di Metropoli c'era anche Libero Maesano, arrestato il 2 maggio 1978 durante il sequestro Moro (anche se poi ne risulterà estraneo). Esponente di Potere Operaio prima, e di Autonomia poi, Maesano era già stato arrestato insieme a Morucci nel febbraio del 1974 al confine con la Svizzera, per possesso di un notevole carico di armi comuni e da guerra.

Scarcerato e dileguatosi, era stato rintracciato poco dopo la strage di via Fani e arrestato all'inizio di maggio, quando gli era stata sequestrata anche l'agendina personale, nella quale c'erano i recapiti telefonici della brigatista Adriana Faranda. Nel corso dell'attività di indagine, la Commissione stragi ha più volte tentato di acquisire l'agendina telefonica sequestrata nel maggio 1978 a Maesano, e ha scoperto che il documento era stato classificato come segreto.

Solo in un secondo tempo la Commissione ha potuto disporre dell'agendina di Maesano, e a parte qualche nome esplicito davvero molto strano nell'agenda di un sospetto brigatista, l'aspetto sorprendente è che la corrispondenza tra i nomi e i numeri di telefono era in codice, e molti dei nomi erano in realtà pseudonimi.

Sebbene elementare (sottrazione o addizione di un'unità ai numeri), la codifica dei vari nominativi attestava la peculiarità di Maesano (nessuna delle agende sequestrate negli anni ai brigatisti era coperta da sistemi di cifratura tali da rendere difficile la lettura di nomi e numeri telefonici), confermata dal fatto che quella sua agenda era stata poi coperta con l'apposizione del timbro segreto. Libero Maesano non era un personaggio di secondo piano nell'eversione di sinistra, anche se i due momentanei arresti che subì non chiarirono il suo possibile ruolo nel caso Moro, o quantomeno nell'area che fiancheggiò l'operazione". - Az

Lettera 2
Egregio Dago,
col tuo permesso, e con la sintesi di cui solo un italiano in vacanza è capace (lo giuro!) desidero rispondere alla lettera di Malcom da te pubblicata pochi giorni fa.
Egli ha scritto: "Nessun brigatista ha mai affermato di aver nascosto a Moro che sarebbe stato ucciso".
Beh, per brevità riporto un pezzettino della illuminante deposizione di Germano Maccari del 21 gennaio 2000 in 'Commissione stragi':

PRESIDENTE. Veniamo all'ultimo giorno di Moro. [...] in quel momento, da quello che ho capito, Moro sa o intuisce che voi avevate deciso di eseguire la sentenza. O gli avevate detto che stava per essere liberato?
MACCARI. Noi gli abbiamo detto che non stava per essere liberato, ma che dovevamo spostarci da quell'appartamento. [...] Quella mattina o la sera prima - ora non ricordo bene - gli fu detto di prepararsi perché dovevamo spostarci.
Insomma, alla luce di ciò mi pare che invece a Moro gli fu in qualche modo nascosto che lo stavano per uccidere.

Malcom ha poi scritto: "le Br così come per Sossi avevano deciso che Moro fosse più utile da vivo che da morto e avevano approvato la sua liberazione".

In primis la decisione di uccidere Moro nel caso in cui lo Stato non avesse ceduto, era stata presa e condivisa da tutti i Br interessati al rapimento già dal '77 (vedi deposizione di Morucci in Commissione Stragi).
In secundis, la gestione del rapimento Moro è stata solo ed unicamente in mano a Moretti, e per quello che se ne sa, ed i racconti dei Br su questo convergono, Moretti si battè già per l'uccisione di Sossi nel '74 (tant'è che nella riunione di Parma che precedette l'arresto di Curcio e Franceschini era stato deciso di estrometterlo proprio per quel motivo dal Comitato Esecutivo), dunque non brillava affatto in quanto a lungimiranza politica. Purtroppo però la gestione materiale del rapimento non era più nelle sue mani già dal 18 Aprile, data del doppio avvertimento Lago della Duchessa-Falso comunicato n.7. Da quel momento Moro vivo non contava più granché, ciò che contava era quello che aveva scritto, i segreti che aveva raccontato nella prigione del popolo.
Che tornaconto può aver avuto Moretti in cambio del silenzio sul vero Memoriale?
Dai un'occhiata a quanti anni ha passato in galera e confrontali con un Curcio o un Franceschini qualsiasi (che non hanno sparato un colpo...)
Spero di non essere stato troppo prolisso. Saluti, Onekenoby

Lettera 3
Giustamente, la lettera di Malcom invita a non costruire castelli, nel caso Moro, su ipotesi labili e indimostrabili perché così "non arriveremo mai alla verità e consentiremo a chiunque di continuare a strumentalizzare questa triste vicenda".
Però è anche vero che nel caso Moro restano ombre, alcune delle quali non sono tanto labili. Il "cuore" della vicenda e' la giornata del 18 aprile 1978.
Senza voler "strumentalizzare" nulla, vorrei riepilogare i termini della vicenda, lasciando opportunamente da parte i possibili addentellati (alcuni di importanza trascurabile, altri meno) come le precedenti visite della polizia in via Gradoli, le ripetute segnalazioni provenienti da varie fonti diverse (che vanno dai servizi stranieri alla malavita organizzata, senza escludere interventi extrasensoriali), il caso della presenza in via Gradoli di appartamenti riconducibili ai servizi, la comparsa sui giornali, in diversi periodi, di voci su materiale trovato in via Gradoli, ma di cui non si parla nei verbali.
Lasciamo da parte anche la Cia e il Kgb, i musicisti russi e i covi nel ghetto, Gladio e la P2, l'Hyperion e l'Anello, gli arabi, gli jugoslavi e i tedeschi, la mafia, la 'ndrangheta e la banda della Magliana, la moto Honda e Tex Willer. Restiamo fermi a quello che avviene quel 18 aprile, trentesimo anniversario della storica vittoria della Dc sul Fronte popolare nelle prime elezioni per il Parlamento della Repubblica.
La mattina del 18 aprile viene scoperto il covo di via Gradoli, dove sembra assodato che vivessero Mario Moretti e la Barbara Balzerani (anche se la Balzerani ha dichiarato in un processo che il covo era stato abbandonato il giorno stesso della strage di via Fani per questioni di sicurezza). Ha detto una bugia ? Allora forse i brigatisti dicono anche bugie e danno versioni false di quello che e' successo?
I due, comunque, quella mattina erano gia' usciti. Lasciamo da parte anche il fatto che, diversamente da quanto avviene di solito quando si trova un covo, e da come il buon senso suggerisce, non si cerca di far passare sotto silenzio la scoperta appostandosi in attesa del ritorno degli abitanti e frequentatori del covo. Puo' darsi infatti che l'intervento dei pompieri abbia fatto abbastanza clamore da far ritenere inutile questa tattica. In base ai racconti dei terroristi pero', sia Moretti che la Balzerani hanno detto di aver appreso dai telegiornali la notizia della scoperta del loro covo, nel quale, altrimenti, sarebbero tornati.
Il covo viene scoperto a causa di una perdita d'acqua che spinge l' inquilina del piano di sotto a chiamare l' amministratore, il quale a sua volta chiama i pompieri. Quando i pompieri entrano, trovano sparso nell' appartamento tutto quello che una persona comune si aspetta di trovare in un covo Br: armi, documenti politici, divise, occorrente per falsificare documenti e chi piu' ne ha piu' ne metta.
Il che contrasta con tutte le norme piu' volte riaffermate nel "Manuale del bravo terrorista" che prescrive un covo sempre in ordine, senza nulla che possa fare insospettire, con il materiale compromettente opportunamente celato e riposto in valige e borse pronte ad essere portate via in modo anonimo. Ma non basta, trovano anche la doccia lasciata aperta con il telefono appoggiato sulla cima di uno spazzolone appoggiato al bordo della vasca in modo da dirigere il flusso dell'acqua verso una zona non protetta dalle mattonelle.
Il buon Satta, autore di un libro presentato più o meno come la "pietra tombale di ogni dietrologia" cerca in tutti i modi di smentire e sminuire questo fatto e pubblica anche (in buona fede, io penso) una apposita foto della vasca con lo spazzolone ordinatamente appoggiato e senza il "telefono" della doccia. Qualcuno mi dice che pero' quella foto ha il piccolo difetto di essere stata scattata quando tutto era stato rimesso a posto.
In contemporanea con la scoperta del covo viene trovato il falso comunicato numero 7, che annuncia che il corpo di Moro si trova nelle acque del lago della Duchessa (nella zona tra il Reatino e l' Abruzzo). Il comunicato e' palesemente falso (e tutti abbiamo subito pensato che lo fosse), sia per particolari formali (che possono forse immediatamente sfuggire ad un osservatore esterno, ma non di sicuro ad analisti professionali e professionisti), sia perche' trovato solo a Roma e non in piu' citta' come i precedenti, sia per le dimensioni (poche righe al posto dei lunghissimi comunicati brigatisti), sia per contenuto e stile (scritto in un modo ironico del tutto incompatibile con la seriosita' dei proclami e dei ragionamenti politici degli altri comunicati).
Questo non impedisce agli esperti del ministero dell' Interno di prenderlo immediatamente per buono in modo da dar vita per un paio di giorni a quell' incredibile parata di uomini e mezzi intorno ad un lago ghiacciato da mesi, in cui non c'erano tracce di passaggio di esseri umani (tracce che sarebbero state evidenti sulla neve immacolata che circondava il lago). Addirittura, per fare immergere alcuni subacquei nelle acque del lago alla improbabile ricerca del corpo di Moro, fu necessario aprire dei buchi nel ghiaccio con gli esplosivi.
Il falso comunicato viene comunemente attribuito ad Antonio Chichiarelli, un personaggio legato alla malavita romana, provetto autore di quadri falsi, mente e braccio, tra l' altro, della mitica rapina da 35 miliardi (e pensate che si era nel 1984 !) nella sede della Brink's Securmark. Contemporaneamente il falso comunicato (lo fa anche Satta) viene collegato ad una presunta proposta di Vitalone di mettere in circolazione comunicati falsi in modo da mettere in difficolta' i terroristi veri. La proposta, sempre secondo la tradizione, sarebbe stata inizialmente scartata e pero' poi ripresa segretamente da qualcuno.

A questo punto, anche se ancora ci sarebbe da parlare di altri particolari non secondari, si puo' forse cominciare a fare qualche osservazione e qualche domanda:

  1. Sulla perdita d'acqua, tutti i brigatisti hanno recisamente escluso ipotesi che escano dalla forbice "disonesta' dei palazzinari romani/casualita'/distrazione della Balzerani". Abbiamo pero' gia' notato che non sempre dicono la verita' (anche Moro, nelle loro versioni, sarebbe stato ammazzato prima da Gallinari, poi da Moretti, poi da Maccari, poi forse di nuovo da Moretti). Anche se mi sembra azzardato considerarla sicura, diciamo che l' ipotesi della scoperta non casuale del covo di via Gradoli e' almeno plausibile, se non probabile.
    In questo caso chi avrebbe lasciato aperta l'acqua? Che siano stati Moretti o la Balzerani mi sembra francamente incredibile. Potrebbe essere stato qualche altro brigatista che aveva le chiavi (il covo era gia' stato abitato da altri prima della coppia Moretti-Balzerani)? Oppure qualcuno di qualche apparato piu' o meno deviato? Oppure qualche altro fiancheggiatore esterno delle Br? O ancora qualcuno di quella parte della malavita che poteva avere qualche contatto con il terrorismo?
  2. Perché le "forze dell'ordine" e i loro esperti hanno avallato come "autentico" un comunicato che era evidentemente improbabile, se non immediatamente falso?
  3. Chi ha realmente fabbricato e fatto trovare il falso comunicato e perché, se, come qualcuno sembra suggerire, è stata un' iniziativa in qualche modo riconducibile a qualche apparato dello Stato o ad esso collegato, nessuno ha mai spiegato chi sia il responsabile dell' iniziativa? E se e' stato Chichiarelli, che apparentemente sembra non avere alcun interesse diretto alla vicenda, ma agisce solo su input esterno, chi e' stato a metterlo in moto?
    Inoltre le motivazioni del falso comunicato vengono comunemente spiegate come una specie di "prova generale" dell' effetto della notizia della morte di Moro sull' opinione pubblica. A me sembra una spiegazione del tutto fuorviante, se non addirittura priva di logica. Non avrebbe senso provocare un caos del genere per un motivo cosi' insulso. Il motivo deve essere ben altro.
  4. I due fatti (la scoperta di via Gradoli e il falso comunicato) sono collegati in qualche modo o avvengono nella stessa ora per puro caso? Tutto sembrerebbe suggerire un collegamento tra i due fatti, ma l'ipotesi non viene mai presa in considerazione da nessuno. Eppure sembra cosi' evidente. Ma quale e' il collegamento?
  5. Infine (e qui chiedo scusa, sia perche' tiro in ballo le persone che sono state le vittime piu' dirette e incolpevoli della vicenda, sia perche' faccio un'eccezione alla mia premessa di considerare solo i fatti del 18 aprile e mi riferisco alla famosa "seduta spiritica" nella quale La Pira suggeri' la parola "Gradoli") non posso credere che la famiglia Moro si sia accontentata della scusa dell' intervento degli spiriti e non abbia preteso dai protagonisti di quella "seduta" spiegazioni piu' razionali e credibili.

Riepilogando, direi che mi sembra probabile che sugli eventi della giornata del 18 aprile, la versione di tutti i protagonisti (terroristi, forze dell' ordine, famiglia Moro) sia almeno incompleta e lacunosa. E di sicuro, anche a voler considerare "dietrologica" la mia ricostruzione, manca luce su ispiratore e significato del falso comunicato. Se questa luce arrivasse sarebbe possibile forse verificare un eventuale collegamento con la scoperta del covo. E sarebbe forse possibile cominciare a far crollare definitivamente gli altri dubbi, in modo da soddisfare anche i dietrologi.
Saluti a tutti, Nembokid freccia rossa che punta in alto

Dagospia 21 Luglio 2004
MORO PER SEMPRE - LE VERSIONI CONTRASTANTI DI ANDREOTTI E COSSIGA SU VATICANO, BR E IL FALSO COMUNICATO DELLA "DUCHESSA" - PECORELLI SPIEGAVA TUTTO GIÀ NEL '78: LA COINCIDENZA DELL'ESERCITAZIONE DELL'ARMA...

LETTERA 1 - CONTATTO VATICANO-BR: ANDREOTTI SAPEVA, COSSIGA NO. IL FALSO COMUNICATO DELLA "DUCHESSA" E IL POSSIBILE BLITZ...
Caro Dagospia, capisco che il caldo sconsiglia questi faticosi viaggi all'indietro nel tempo, ma io vorrei tornare ancora al caso Moro e alla famosa giornata del 18 aprile, di cui ho già parlato qualche giorno fa. A quello che avevo scritto vorrei aggiungere un' altra cosa.

Per prima cosa riporto alcune delle notizie trasmesse dall'agenzia Ansa il 9 maggio di quest'anno sulla presentazione del libro "La nebulosa del caso Moro" di Maria Fida Moro:

MORO: ANDREOTTI, CONTATTO CON VATICANO CI ANTICIPÒ DUCHESSA
"L'uomo, qualificatosi delle brigate rosse che teneva i contatti tra l'organizzazione terroristica e il Vaticano anticipò il falso comunicato della Duchessa come elemento di prova della sua autorevolezza". Lo ha rivelato, 26 anni dal rapimento Moro, Giulio Andreotti, intervenuto stamani presso la sede degli Archivio di Stato a Roma, in occasione della presentazione del volume "La nebulosa del caso Moro", Selene Edizione, curato da Maria Fida Moro.

Andreotti ha ricordato la trattativa del Vaticano, che doveva concludersi con il pagamento di un forte riscatto, proprio la mattina del 9 di maggio. Andreotti ha confermato che il Vaticano era pronto a pagare una cifra molto considerevole. C'erano contatti già prima della Duchessa, il 18 aprile del '78. "Una persona ci informò, 'domani uscirà un comunicato, ma non spaventatevi', questa persona ci avvertì". Andreotti ha ricordato che le indagini indicarono in Toni Chichiarelli l'autore del falso comunicato oltre che degli altri messaggi connessi con la vicenda.

Chichiarelli fu l'autore di una rapina miliardaria presso la Brink's. "Se sia lui l'autore lo si dice come si dice - ha aggiunto Andreotti - anche che sia stato un collaboratore dei Servizi segreti. Ma non lo so proprio. Questo contatto diede come prova che ci sarebbe stato il falso comunicato delle Brigate Rosse ma al contempo ci rassicurò. È vero che l'autore del comunicato è Chichiarelli ma non è verosimile che sia stato effettivamente lui".
Il falso comunicato del Lago della Duchessa affermava che Moro "era stato suicidato" e sepolto nel lago, all'epoca gelato, in provincia di Rieti, sulle montagne della Duchessa. Due giorni dopo le Brigate Rosse smentirono l'autenticità di quel comunicato con il settimo comunicato autentico.

MORO: COSSIGA, NON SAPEVO DI BR-VATICANO PRIMA DI 'DUCHESSA' FORSE SE LO AVESSI SAPUTO POSSIBILE BLITZ PER LIBERARE MORO
Francesco Cossiga ignorava del tutto che vi fosse un contatto tra Vaticano e Br prima del "falso" comunicato del lago della Duchessa, del 18 aprile 1978, come rivelato oggi dal sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, e sostiene che se fosse stato informato avrebbe potuto tentare un blitz della polizia per liberare il presidente della Democrazia Cristiana.

In un breve colloquio con l'agenzia Ansa, Francesco Cossiga ricorda: "Io non ho saputo niente di questi contatti, né prima, né durante, né dopo il rapimento Moro. Ma di questo non mi meraviglio perché era ben nota la mia posizione a sostegno leale della linea della fermezza e per non cedere al ricatto. Potevo accettare solo eventualmente una trattativa tattica per cercare di catturare i sequestratori. D'altra parte Aldo Moro scrisse dal 'carcere' che io ero troppo succube di Berlinguer e schierato sulla linea del compromesso storico. Inoltre, già da allora, come anche oggi, il ministro dell'Interno e' un ministro dimezzato, che non ha poteri pieni di controllo sui servizi segreti".
"Io ho sempre ritenuto - prosegue Cossiga - sulla base delle perizie degli esperti della Procura di Roma, della Polizia e dell'Arma dei Carabinieri, che il comunicato del lago della Duchessa potesse provenire almeno da una parte delle Br, una fazione favorevole alla trattativa, e che il loro scopo fosse quello di creare una situazione di terrore, specie nella Dc, prefigurando la situazione politica e morale successiva all'uccisione di Aldo Moro.
Credo anche che quel falso comunicato del lago della Duchessa fosse, anche se in forma indiretta, una qual sorta di disponibilità alla trattativa. Se i servizi di informazione e i reparti anti-terrorismo dei Carabinieri e della Polizia avessero saputo di questi contatti tra il Vaticano e le Br, fino ad oggi da me del tutto ignorati, perché all'epoca ero ritenuto troppo intransigente e troppo filo compromesso storico, ma che erano conosciuti dal più avveduto Giulio Andreotti, un'azione di forza, che noi eravamo in grado di compiere in condizioni di alta sicurezza per l'ostaggio, sarebbe forse riuscita a salvare la vita del presidente della Dc".

"Oggi però - osserva Cossiga - tutto questo diventa soltanto una ricostruzione fin troppo ricca di "se" e di "ma", forse troppo per poter costituire storia, anche se solo storia del possibile. Certo - dice ancora Cossiga - più gli anni passano e più mi accorgo di essere stato un bell'ingenuo a credere di essere un vero ministro dell'Interno, di uno Stato sovrano! E ancor oggi se ipotizzassi o pensassi a una qualche forma di impegno politico tutto questo rappresenterebbe per me una bella lezione di umiltà".

Che cosa esce fuori da queste notizie, se il pensiero di Andreotti e Cossiga è stato correttamente riportato (ma nessuno dei due ha smentito nulla)?

  1. Andreotti, che allora era presidente del Consiglio sapeva che ci sarebbe stato il falso comunicato, ne conosceva il contenuto e sapeva anche che il contenuto era falso (se sapeva che non c'era nulla da spaventarsi). Andreotti non dice se sapeva anche che sarebbe stato scoperto il covo di via Gradoli.
  2. C'era un "brigatista" che teneva i contatti tra le Br e il Vaticano, ma evidentemente nessuno ha pensato di utilizzarlo per risolvere il caso e liberare Moro.
  3. Nonostante si sapesse (o almeno qualcuno, come Andreotti, sapesse) che il comunicato del Lago della Duchessa era falso, l'opinione pubblica è stata tranquillamente ed impunemente ingannata e si sono spesi miliardoni di lire per un'inutile operazione militare di ricerca.
  4. Cossiga, che allora era ministro dell'Interno, dice che non ne sapeva nulla.
  5. Cossiga dice anche che, se fosse stato informato, avrebbe potuto far tentare un blitz (senza spiegare cosa c'entri un blitz, che presuppone la conoscenza del covo-prigione, con l'informazione che ci sarebbe stato un comunicato falso).
  6. A me sembra strano che Cossiga, che si indigna e si infiamma per molte cose, non si sia indignato ed infiammato scoprendo, 26 anni dopo, di essere stato ingannato dal suo collega Andreotti su una cosa così importante.
  7. Nonostante queste novità, che a me continuano a sembrare sostanziali, la maggior parte dei giornali ha bellamente ignorato la cosa e quelli che ne hanno parlato, hanno minimizzato.
  8. Comunque tanti saluti a Paolo Mieli, Vladimiro Satta, Rossana Rossanda e a tutti i Soloni del "è tutto chiaro, sappiamo tutto, non c'è più nulla da scoprire".

Buone vacanze a chi le fa e buon lavoro a chi non le fa, Nembokid.

LETTERA 2 - LA VERSIONE DI COSSIGA? PECORELLI LA PENSAVA COSÌ - LA COINCIDENZA DELL'ESERCITAZIONE DELL'ARMA...
Ripensando alle ultime riflessioni di Nembokid sul "falso" comunicato del lago della Duchessa, propongo qui qualche "collegamento" utile. Si è sempre detto infatti che il messaggio fosse opera materiale di Toni Chichiarelli, su input di non meglio precisati "servizi". Ma un altro punto oscuro è rappresentato dalla connessione fra i luoghi e le modalità delle ricerche avviate dopo il comunicato (i luoghi geografici e le ricerche subacquee in un lago di montagna) e le esercitazioni svolte da reparti speciali delle forze armate (Carabinieri e incursori della Marina) nel febbraio precedente al sequestro, esercitazioni svelate da documenti pubblicati da "Famiglia cristiana" e ai quali, forse, non è avventato prestare fede (non è difficile rintracciare su Internet i relativi articoli).
Tornando alle parole di Cossiga, sulla provenienza del comunicato da parte di una fazione br contraria all'uccisione di Moro, si tratta di un'altra delle sue "originalità"? Le sue parole colpiscono, soprattutto se lette accanto a quanto scritto in tempi più vicini ai fatti, da Pecorelli su OP (del 25.4.78):

LA VENTIQUATTRESIMA ORA
«Siamo costretti a chiudere il numero mentre mancano ancora 24 ore alla scadenza dell'ultimatum delle Br. (....) Se lo Stato è diviso, se ciascun partito è disarticolato al suo interno, anche le Brigate rosse non sembrano più una forza omogenea. Il settimo messaggio (quello che annunciava l'esecuzione di Moro) e il settimo-bis (quello che confermandolo in vita, lanciava alla Dc un ultimatum) sono stati entrambi scritti dalle Br. I nostri servizi segreti, il trust di cervelli del ministero degli Interni, non avrebbe mai avuto la fantasia e il coraggio di tentare il bluff della "Duchessa". Ciò significa che all'interno delle Br esistono due fazioni che perseguono strategie (e forse fini) diversi. Divisi fra loro in falchi e colombe, i brigatisti perdono gran parte del loro macabro fascino di superumana efficienza. Forse, se lo Stato non sarà in grado di batterli, si batteranno tra di loro, in seguito (...)».

Allora, forse, la versione che vuole il "falso" comunicato (che invece sarebbe falso solo nei contenuti, ma autentico per provenienza e paternità br), come una mossa degli apparati di sicurezza, è servita a tutelare qualche brigatista che "lavorava" per salvare Moro (infiltrato? Contattato dai servizi e resosi disponibile?) e a proteggerlo da ritorsioni?

Altro spunto coerente con l'idea dell'autenticità del comunicato n.7 è il pezzo su OP del 20.3.79 intitolato "IL MISTERO DELLA "DUCHESSA":
«Il messaggio di aprile con il quale si indicava nel lago della Duchessa a 75 chilometri da Roma sull'autostrada per l'Abruzzo, la bara di Moro, rimane ancora un mistero. I brigatisti lo hanno smentito attribuendolo ad Andreotti e ai suoi complici in quello che essi hanno detto essere il vero comunicato n.7. Un depistaggio? Perché allora tanta decisione nella smentita successiva? Uno stratagemma del Viminale? A quale scopo se brancolava nel buio? In effetti quella mattina del 18 aprile il concentramento delle forze al lago della Duchessa fu ridicolo dal punto di vista strategico.(...) La strategia delle due parti in causa (Viminale e comando dei terroristi) è ancora da scoprire».

L'altro punto che andrebbe "rivoltato" a fondo è il ruolo di Chichiarelli e qui chi ne sa di più si faccia avanti: dove nasce la sua responsabilità nella scrittura del comunicato del lago della Duchessa? Non ricordo più se questa è stata accertata processualmente o se è il frutto del "consolidamento" delle tante voci... E ancora quali furono i rapporti di Chichiarelli con le brigate rosse? Sobchak. freccia rossa che punta in alto

23 Luglio 2004 (Dagospia)
FASANELLA: "LA COSIDDETTA AREA DELLA CONTI-GUITÀ CON LE BRIGATE ROSSE, CIOÈ QUEI SIMPATIZZANTI O MILITANTI BRIGATISTI CHE NON HANNO PAGATO ALCUN PREZZO PER QUELLO CHE HANNO FATTO, ESISTE. ECCO LE PROVE..."

Lettera 1
Caro Dagospia,
non si agiti troppo il signor Nullo (o chi si nasconde dietro quello pseudonimo), non sono stato io a collegare il nome di De Petra con l'area della contiguità, ma le lettere pubblicate nel tuo sito. Io ho semplicemente espresso un'opinione, che confermo. Al di là del caso specifico (che non conosco), quelle lettere segnalano un problema (che esiste). Il problema è, appunto, la cosiddetta area della contiguità con le Brigate rosse: cioè quei simpatiz-zanti o militanti brigatisti che non hanno pagato alcun prezzo per quello che hanno fatto (alcuni potrebbero anche aver ferito o ucciso), nemmeno quello della pubblicità dei loro antichi legami. Che il problema esista, lo denunciò nel 1998 un presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, in un'altissima sede istituzionale come la Camera dei deputati: in oc-casione del ventesimo anniversario dell'assassinio di Aldo Moro, disse che dietro il livello noto delle Brigate rosse c'erano "altre intelligenze", e invitò a cercarle. Del tema parlarono poi in commissione Stragi il brigatista rosso Germano Maccari e il leader di Autonomia Franco Piperno. Maccari disse: "Voi non mi credereste se vi di-cessi in quante case di persone che oggi hanno un ruolo molto importante nell'informazione, o comunque un ruolo importante nella società, si faceva a gara per avere a cena uno come me". Piperno rivelò che nei 55 giorni del sequestro Moro, qualcuno gli procurò un appun-tamento con Mario Moretti, il brigatista rosso più ricercato d'Italia: l'incontro avvenne durante una cena nell'appartamento di un "alto borghese", nel quartiere Prati di Roma. L'argomento è stato affrontato anche da Giovanni Pellegrino, presidente della commissione Stragi, nel libro-intervista Segreto di Stato. Invitato a disegnare un identikit professionale degli appartenenti all'area della contiguità, Pellegrino risponde: "Sicuramente moltissimo ceto intellettuale, docenti universitari, uomini dello spettacolo e dell'informazione. Maccari fa un accenno anche al mondo sindacale". Infine, segnalo l'intervista di Francesco Cossiga ad Aldo Cazzullo, pubblicata da La Stampa il 16 marzo 2003. Alla domanda su un possibile ruolo del musicista di origine russa Igor Markevic nel caso Moro, Cossiga risponde: "Uno dei capi delle Br mi disse un giorno: se mai facessimo i nomi dei nostri fiancheggiatori, di tutte le classi sociali, che ci diedero asilo, vi meravigliereste molto". Caro Dagospia, insisti. Rendi un servizio a tutti quei lettori che, come il sottoscritto, non hanno idee chiare né granitiche certezze, ma soltanto voglia di capirci qualcosa. A proposito, complimenti per il premio Val di Sole per un giornalismo trasparente, che ti è stato appena conferito: finalmente un premio giornalistico meritato! Giovanni Fasanella

Lettera 2
Vi segnalo una piccola intervista, passata inosservata su tutti i media, al dott. Sereno Freato, segretario particolare di Aldo Moro, pubblicata sul "Giornale di Brescia" del 3/6/04 a pag.30 (pagina della cultura!). Tra le tante cose interessanti ne cito un paio:
Pochi giorni dopo il 16 marzo '78 scoprirono con certezza che la copia di "Repubblica" apparteneva ad un abbonato della provincia di Pavia; Il dott. Freato contattò l'avvocato Payot (avvocato della banda Baader Meynhoff) per far da mediatore con le Brigate Rosse, ma Cossiga bloccò tutto. Massimo Apollonio Salò freccia rossa che punta in alto

29 luglio 2004 (ANSA)
MORO: VEDOVA RICCI A GUZZANTI, ASCOLTATE ARCONTE E CANCEDDA

ROMA - Maria Rocchetti, vedova Ricci, uno dei quattro uomini di scorta di Aldo Moro, ha scritto al presidente della comissione parlamentare di inchiesta Mitrokhin e ai presidenti del Senato e della Camera, per sollecitare una possibile audizione di due ex gladiatori, Antonino Arconte e Pierfrancesco Cancedda che hanno fatto importanti rivelazioni sulla vicenda che riguarda l'uccisione del presidente della Dc. "Ritengo sia un vostro preciso dovere morale, dare alla mia persona e alle famiglie degli agenti caduti, tutte quelle risposte in merito alla mancata audizione. L'accertamento della verita' - scrive la vedova Ricci nella sua lettera - e' un dovere supremo sia verso il popolo italiano sia nei confronti delle famiglie di coloro che hanno visto i propri cari immolarsi, senza esitare, per la salvaguardia delle liberta' democratiche". In particolare la vedova Ricci cita due servizi dell'agenzia Ansa dello scorso 26 giugno riguardanti proprio i due agenti. "Mi sono sentita veramente male alla luce di quanto sopra (faccio presente di essere stata operata recentemente al cuore), pensando che forse quella 'strage' poteva essere evitata e, mio marito, essere vivo accanto alla sua famiglia". Nella lettera la vedova Ricci rivolge un "accorato appello" al senatore Guzzanti affinche' "ci aiuti a squarciare questo 'muro di gomma' che oramai da anni circonda il 'caso Moro' ed a salvarci da questa terribile spada di Damocle che da oltre vent'anni ci angoscia: 'I nostri cari potevano essere salvati'". freccia rossa che punta in alto

by abrapalabra